venerdì 12 settembre 2008

Sulle Bestie di Satana la verita' e' ancora lontana


Aveva accusato Nicola Sapone, che si trovava a Cuba, di un altro omicidio.Andrea Volpe, pentito col contagocce, rinviato a giudizio per calunnia

Nonostante la Cassazione abbia reso definitive le condanne per i cosiddetti omicidi delle Bestie di Satana, sono ancora molti i punti oscuri da chiarire. Paolo Leoni, con la lettera pubblicata sul Secolo XIX di Genova, ha ribadito la sua estraneità alla vicenda che riguarda la sparizione di Cristian Frigerio. "Ozzy", ritenuto dai giudici l'ideologo del gruppo, è indagato per altri tre misteriosi omicidi. Andrea Volpe (nella foto) comparirà il 13 novembre al Tribunale di Busto Arsizio per rispondere dell’accusa di calunnia ai danni di Nicola Sapone e del padre, accusati falsamente di traffico di armi e droga, e di un altro omicidio. Il pm, al quale era stata affidata l’indagine, ha scoperto che il giorno del presunto omicidio Sapone era in vacanza a Cuba. Accusa Leoni: "L’unica cosa vera riferita da Volpe è che ha ucciso barbaramente e che per ottenere uno sconto di pena (ottenuto!) ha fatto ritrovare i corpi di due ragazzi che lui ha sepolto, tirando in mezzo gente estranea ai fatti". Eppure, tutto l’impianto accusatorio del processo alle Bestie è stato basato interamente sulle confessioni di Volpe, giudicato “attendibile” dal pm Antonio Pizzi, nonostante le svariate versioni fornite durante la fase preprocessuale. Infatti gli altri due rei confessi, Guerrieri e Maccione, sono stati ritenuti dai giudici di merito inattendibili.

Viene spontaneo pensare all’ennesimo caso di “pentitismo ad orologeria”, che i più esperti magistrati di processi alla mafia conoscono da tempo: le confessioni sono fatte con il contagocce, anche a distanza di tempo, per cercare di ottenere maggiori benefici di legge, anche a costo di inventarsi storie inverosimili, come il bacio di Andreotti a Totò Riina, raccontato dal poco affidabile pentito Balduccio Di Maggio. E, più dettagli ci sono, più il “collaboratore di giustizia” è credibile. A questo proposito, mi tornano alla mente le accurate descrizioni della “teste omega”, Stefania Ariosto, al processo che vedeva imputato per corruzione in atti giudiziari l’ex ministro della Difesa Cesare Previti. L’Ariosto, per rendere più credibili i suoi racconti, li infarciva di dettagli, come la disposizione dei mobili di casa Previti, o il colore delle pareti. Giudicata credibile, è stata la testimone-chiave dell’accusa: un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, nonostante le numerose incongruenze.

Caso strano, Volpe ha chiesto e ottenuto che l’udienza preliminare del processo che lo vede imputato per calunnia si svolga a porte chiuse, senza pubblico, nè giornalisti. Il prossimo 13 novembre, al palazzo di Giustizia di Busto Arsizio, la Voce ci sarà, perchè crede che, sugli omicidi attribuiti alle Bestie, non sia stata detta tutta la verità. Il processo che vede Volpe imputato per calunnia, potrebbe portare alla richiesta di revisione dell’intero procedimento, che visto Sapone e Leoni condannati rispettivamente a tre e un ergastolo, e gli altri sei imputati a 130 anni complessivi di carcere. Volpe, invece, ha avuto solo 20 anni per aver collaborato con la giustizia, nonostante i tre omicidi commessi. Come in un thriller hollywoodiano, la videocassetta che conteneva le nuove dichiarazioni di Volpe, in base alle quali era stato aperto il nuovo fascicolo nei confronti di Sapone e di suo padre, è misteriosamente scomparsa. Nonostante la richiesta di archiviazione avanzata dal difensore di Volpe, durante l’udienza preliminare dello scorso 17 giugno, il gup ha deciso ugualmente il rinvio a giudizio del fantasioso pentito. Stranamente, di questa vicenda non ne parla nessuno. Silenzio dalla Procura. Silenzio dalla stampa. Silenzio da Volpe.

Il processo alle Bestie, ricorda, sotto molti aspetti, i casi citati, se non altro per le incongruenze di Volpe. Confermate le sentenze in Cassazione, a Volpe non restava altro che inventarsi qualcos’altro da raccontare ai giudici, per sperare in un’ulteriore riduzione della pena. Gli omicidi accertati, al momento, sono solo tre (oltre ad un suicidio istigato), ma secondo alcune confessioni sarebbero almeno diciotto, oltre ad un numero non specificato di induzioni al suicidio. Nemmeno la banda della Magliana sarebbe stata in grado di eseguire un così alto numero di omicidi in poco tempo, figuriamoci un gruppetto di metallari del varesotto. Con 18 morti, basta farsi i conti e tirare fuori un cadavere ogni tanto, per cercare di strappare qualche altro beneficio di legge (forse una riduzione di pena, forse la semilibertà). Basta farsi tornare la memoria ogni tanto, e descrivere un qualsiasi boschetto della Lombardia. Certo, ci vuole anche l’assassino, ma basta sceglierne uno tra gli otto colpevoli già in cella, preferibilmente i sanguinari Sapone e Leone, gli unici due condannati all’ergastolo: per i giudici sarà più facile avvalorare l’impianto accusatorio. Ergastolo più, ergastolo meno, a chi volete che importi? E poi, se hanno commesso tre omicidi, possono benissimo averne compiuti un’altra dozzina. D’altronde, sono le famose Bestie di Satana, la feroce setta che ha insanguinato i boschi attorno a Somma Lombardo. Per rendere il tutto più credibile, basta aggiungere di aver presenziato all’omicidio (meglio evitare di dire di avervi attivamente partecipato), condendo il tutto con macabri particolari, meglio se raccapriccianti. Ci sono delle intercettazioni sospette di Volpe con il padre, dice Leoni nella sua lettera al Secolo: quelle in cui rivela di voler far nomi fittizzi per accreditare meglio la sua "collaborazione". Ci sono gli eventi (testimonianze e immagini) che dimostrano come non potesse essere presente alle riunioni che avevano pianificato il massacro. Ha voglia Leoni a gridare la sua innocenza: lui è “inattendibile”, mentre il calunniatore Volpe è “credibile”.

La mancata condanna per associazione a delinquere di Sapone, Volpe, Leoni, Leoni, Zampollo, Ballarin, Pezzotta, Monterosso e Maccione ha fatto cadere tutto l’impianto accusatorio, che voleva attribuire gli omicidi all’azione della presunta setta. E’ chiaro che, se non c’è il reato previsto dall’articolo 416 del codice penale, non c’è neanche la setta. Il reato di associazione a delinquere è infatti così definito: “Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori”. Siccome la presunta setta era formata da otto persone, viene spontaneo domandarsi quale sia la verità. La setta c’era, o non c’era? Se non c’è il testimone, l’accusa brancola nel buio, come sta accadendo per l’omicidio di Perugia di Meredith Karcher. Probabilmente, i magistrati di Perugia finiranno per condannare tutti e tre gli imputati, non riuscendo a individuare il vero colpevole. Oppure, saranno più giusti, e assolveranno tutti. La Voce pensa ancora che sia meglio un colpevole in libertà, piuttosto che un innocente condannato al carcere a vita, ed una famiglia distrutta.

Certamente, un conto è sostenere la coinvolgente tesi della setta satanica, un altro è un banale processo per omicidio per motivi veniali (188 milioni di vecchie lire): non ha lo stesso fascino, nè sui media, nè sull’opinione pubblica. Anche la teoria del “terzo livello” sembra la solita trovata dai magistrati per cercare di tenere aperto il caso, e destare l’attenzione dei media sulla vicenda. Ricorda molto da vicino la tesi dei misteriosi mandanti del mostro di Firenze: mai esistiti, nonostante decenni di indagini e la formulazione delle teorie più strampalate. Molti magistrati, però, costruendo teoremi fantascientifici, e sfruttando la popolarità derivante dell’eco mediatico delle loro indagini, sono finiti in Parlamento. La formula funziona, e qualcuno potrebbe pensare di sfruttarla per sè.

Il rischio è che, ancora una volta, a pagarne le conseguenze sia la Giustizia. Il caso di Cogne, come quello dei due fratellini di Gravina di Puglia, Ciccio e Tore, insegnano. Annamaria Franzoni è stata condannata dall’opinione pubblica, prima che da un Tribunale, e il padre dei poveri bambini è stato arrestato sulla scorta del sentimento popolare, stimolato sapientemente dai media, sempre più alla ricerca di macabri delitti da raccontare. Più drammatica è la storia, più giornali si vendono; più morti ammazzati ci sono, più sale l’audience televisiva. Il gioco è a somma zero, ma qualcuno ci rimette. E a pagare non sono nè i magistrati, nè i giornalisti. Mi viene in mente la vicenda di Jill Dando, popolare giornalista della Bbc assassinata nel 2004. La polizia brancolava nel buio, ma, per sedare l’opinione pubblica, arrestò un infermo di mente, tale Barry George, che venne poi condannato. Se non fosse stato per la caparbia di un altro giornalista dell’emittente pubblica inglese, non convinto della colpevolezza di George, questo non sarebbe stato assolto lo scorso mese per non aver commesso il fatto. Quanti George ci sono nelle carceri italiane? Il collega di Jill Dando lo sa, perchè è stato uno di loro. Forse, l’esperienza farebbe bene a tanti altri.

Fonte - La Voce d'Italia, Marco Marsili, Settembre 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

La massa é al potere come satana comanda,purtroppo.