Di fedi con pochi credenti ne esistono molte, anche in Italia. E a volte i loro riti possono confliggere con le leggi e la società, come nel discusso uso della droga in certi rituali, non solo dei rastafariani. Ce lo spiega Massimo Introvigne (foto a destra), il fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR).
Che differenza c’è tra setta e piccola religione?
Non si usa più questa differenziazione, crea solo equivoci che in certi Paesi hanno comportato gravi conseguenze legali.
E allora come si fa a definire una religione? Che cos’è?
Infatti non esiste una definizione condivisa di “religione”. È certo che non basta autodefinirsi “religione” (c’è chi lo fa per truffa). Una definizione ampiamente maggioritaria dice: un gruppo organizzato che fornisce risposte non puramente scientifiche alle domande sull’origine, il destino, il senso dell’esistenza umana. Voi fate un censimento delle religioni in Italia.
Quante fedi ci sono e quanti fedeli hanno?
Ce ne sono circa 630, alcune minime nel mondo (tutte vogliono essere rappresentate a Roma), altre grandi nel mondo ma piccole da noi. Limitandoci ai cittadini italiani, a parte i cattolici, la comunità più ampia sono i Testimoni di Geova (tra i 200 e i 400 mila), seguiti dai pentecostali delle Assemblee di Iddio (120 mila). Contando gli immigrati ovviamente cambia radicalmente il quadro e ci sono islam e ortodossi, che tra i soli italiani si attestano sulle 50 mila persone, come valdesi e buddisti. Solo 30 o 40 gruppi hanno più di 10 mila fedeli.
Come nel recente caso della marijuana dei rasta, si può creare un conflitto tra le usanze religiose e le leggi della società. Su un diverso piano pensiamo anche alle polemiche sul velo, alla poligamia.
Sì. Ci sono molti precedenti di giurisprudenza. Per esempio sulle droghe c’è il caso brasiliano del Santo Daime, un’antica religione india che consuma un allucinogeno naturale. In Brasile esistono regole molto precise, ma poi all’estero, Italia compresa, si è creata una giurisprudenza spesso confusa e tormentata.
Secondo lei come va affrontata questa conflittualità?
In Italia si usa molto il buon senso, ed è quel che ci vuole nella maggioranza dei casi molto piccoli. Non è il caso per un puntiglio di creare tensioni non necessarie e maggiori di quelle generate dai singoli episodi. Nei casi più grandi occorrono leggi speciali, come già ne esistono, per esempio per garantire la sacralità del sabato a ebrei e avventisti.
Quando è che lo Stato non può transigere?
La libertà religiosa trova il suo limite nella libertà altrui. È il criterio del “compelling interest”, “l’interesse fondamentale” dello Stato a vietare certe pratiche, esempio eclatante i sacrifici umani.
Fonte - METRO News, art. di Osvaldo Baldacci, 14 Luglio 2008
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