lunedì 3 dicembre 2007

Rilevamento delle impronte latenti su ossa umane


Introduzione.

Ai laboratori della polizia e degli antropologi forensi spesso arrivano resti umani ossei di provenienza sconosciuta. I teschi umani sono particolarmente comuni e possono essere il risultato di furti di antichità [1], di saccheggi nelle tombe, di omicidi recenti o di trofei di guerra [2,3,4]. Per esempio, nel 2001 il prof. Steadman ricevette multipli casi di teschi e ossa lunghe, la provenienza e il significato medico legale dei quali erano dubbi. Tra i reperti erano compresi una calotta cranica trovata in una borsa lungo una strada rurale, un cranio trovato in uno stagno, e un cranio quasi completo trovato nell’armadio di un sospettato per droga. Ognuno di questi tre casi avrebbe potuto avere importanza forense, ma solo il possessore putativo dell’ultimo reperto era stato identificato.
Dopo una presentazione di questi e altri casi alla conferenza della New York State Association of County Coroners and Medical Examiners (associazione dei medici legali), venne sollevata la seguente questione: è possibile rilevare le impronte latenti sulle ossa in modo da determinare chi le ha maneggiate? Gli autori erano convinti di sì, ma il problema era: quale metodologia è la più adatta a questo tipo di rilevamento? Non esisteva una letteratura specifica al riguardo, ma furono trovate due relazioni tecniche riguardanti l’esame delle corna dei cervi [5,6].
La parola “latente”, per definizione, significa nascosto e non visibile all’occhio nudo. È quindi necessaria una specifica procedura per evidenziare le impronte digitali latenti e permetterne la visualizzazione e la documentazione. Il tecnico specializzato si trova a dover scegliere la metodologia più adeguata al tipo di superficie dell’oggetto da cui rilevare le impronte [7]. Utilizzare una tecnica sbagliata può risultare nella distruzione delle potenziali prove [8]. La zona corticale delle ossa umane presenta una superficie con caratteristiche uniche e dall’aspetto variabile; in questo caso furono considerati due tipi di superficie ossea: conservata chimicamente e non conservata, che avevano caratteristiche completamente diverse.

Categorizzazione delle superfici ossee.

In generale, chi esamina le impronte latenti suddivide le superfici in porose, non porose e semiporose [9]. Assegnare le ossa a una di queste categorie per prima cosa richiede una conoscenza dell’anatomia dello scheletro. Lo scheletro umano è composto da due tipi di ossa:
*osso compatto, corticale: forma la superficie esterna, dura
*osso spugnoso: sotto l’osso compatto, estremamente poroso.
Mentre a un primo sguardo la superficie delle ossa umane normali appare liscia, tranne che nelle zone dove si attaccano i muscoli, l’osso corticale può essere molto solcato ed è anch’esso poroso per via della vascolarizzazione. Quindi ai fini del rilevamento delle impronte, la superficie ossea può essere classificata come semiporosa. Ad ogni modo fratture, morsi di animali, discolorazione a causa del sole, seppellimento, esposizione all’acqua e altri fattori ambientali possono erodere l’osso corticale e aumentarne ulteriormente la porosità superficiale. Anche molti tipi di patologie antemortem, come infezioni, malattie metaboliche o fratture guarite possono compromettere l’osso corticale. In tutti questi casi, quindi, esso è classificato come superficie altamente porosa. Nel caso la parte corticale sia assente e quella spugnosa esposta, ogni possibilità di trovare impronte latenti è completamente eliminata.
Sia le superfici ossee normali che quelle anormalmente porose possono essere modificate per renderle non porose. Ad esempio i campioni ossei presenti nei musei o negli istituti vengono tipicamente trattati con una o più mani di un consolidante, come l’Acryloid B-72 (etil-metacrilato) o il polivinil acetato (PVA), per conservare ossa in cattivo stato o per prevenire danni da manipolazione [10,11]. Nel settore privato, i teschi utilizzati come trofei sono spesso verniciati con conservanti semplici tipo la lacca. I trofei possono essere anche verniciati, tinti o colorati [2], cosa che altera drasticamente la natura porosa dell’osso, specialmente quando il prodotto è applicato in più strati.

Materiali e metodi.

Per questo studio sono state utilizzate ossa lunghe e teschi umani asciutti. Prima delle analisi, circa metà dei 18 scheletri utilizzati per l’insegnamento dell’anatomia nel laboratorio del prof. Steadman erano conservati con Acryloid B-72 (etil-metacrilato), una resina termoplastica prodotta dalla Röhm & Haas usata per ridurre i traumi da manipolazioni prolungate. L’ Acryloid B-72 nel Regno Unito è conosciuto anche col nome di Parabloid B-72. Questo consolidante conferisce alla superficie ossea corticale un aspetto artificialmente liscio, lucido, giallastro e non poroso. Prima di apporvi sperimentalmente le impronte, le ossa sono state lavate con acqua tiepida e sapone per i piatti per rimuovere tutte le impronte precedentemente depositate.
In seguito sono state apposte impronte latenti sulle superfici lisce sia conservate (non porose) che non conservate dei femori e delle calotte craniche. Per assicurarne la consistenza, tutte le impronte sono state depositate dal prof. Steadman tramite le naturali secrezioni della mano. Per testarne gli effetti temporali, le impronte sono state apposte su diversi gruppi di femori e teschi cinque settimane, tre settimane e pochi minuti prima del rilevamento. Le ossa sono state lasciate in laboratorio in attesa dell’elaborazione. Sono stati testati in totale 9 teschi (5 non conservati, 4 conservati) e 12 femori (5 non conservati, 7 conservati).
Tutti i procedimenti utilizzati per lo studio sono cominciati con un esame visivo con l’ausilio di una fonte di luce alternata (SPEX Crimescope CS-16 con lunghezze d’onda da 415 nm a 670 nm e luce bianca). Durante questa prima fase non sono state rilevate impronte. Sono stati quindi applicati ulteriori metodi di rilevamento quali fumigazioni con cianoacrilato, Ardrox con addizionale esame con fonte di luce alternata, polvere nera, polvere nera magnetica e ninidrina.

Risultati.

Fumigazioni con cianoacrilato: è stata utilizzata una speciale busta chiamata “Print Pouch” (riempita con gel di cianoacrilato: una volta posizionata si toglie la pellicola superiore, ndt) della LynnPeavy Company. Le ossa da esaminare sono state poste in una camera di fumigazione con una busta e un contenitore di acqua calda per circa 30 minuti. Dopo la fumigazione le ossa sono state riesaminate col Crimescope. Nessuna impronta latente risultava visibile.

Ardrox: alcune delle ossa precedentemente sottoposte all’esame con cianoacrilato sono state poi trattate con una miscela al metanolo di Lightning Ardrox P133D e poi risciacquate. Anche in questo caso la successiva osservazione con il Crimescope non ha permesso di rilevare impronte. È possibile che la colorazione giallastra delle ossa conservate abbia interferito con la visualizzazione delle impronte rilevate con l’Ardrox. Visto il fallimento di queste due tecniche, queste sono state abbandonate e per gli altri reperti sono stati utilizzati metodi diversi.

Polvere nera: utilizzando un pennello standard in fibra di vetro, è stata applicata della polvere nera marca Lightning sia sul gruppo di ossa trattate con cianoacrilato, sia su quelle non ancora trattate. A questo punto sono state notate alcune zone in cui apparivano tratti di impronte. Però la polvere metteva in risalto anche la trama della superficie ossea, cosa che interferiva con la visualizzazione delle impronte (fig. 1).


fig. 1

Polvere magnetica nera: (marca Lightning) è stata applicata con un pennello magnetico sia alle ossa trattate con cianoacrilato sia a quelle non trattate. Sono state subito visibili le impronte depositate recentemente sulle ossa conservate e su quelle non conservate, fumigate e non (fig. 2). Appare esserci un rapporto inversamente proporzionale tra lo sviluppo dell’impronta latente e il tempo trascorso dalla sua apposizione. È stata notata una differenza anche tra la qualità dello sviluppo delle impronte latenti sulle ossa conservate e quelle non conservate a parità di tempo dalla deposizione: quelle hanno contribuito maggiormente al mantenimento e allo sviluppo delle impronte (fig. 3).

Ninidrina: per questa procedura è stata utilizzata solo una sezione di una calotta cranica non conservata, visto che le ossa conservate sono state considerate superfici non porose. Una soluzione di ninidrina (2,2-diidrossi-1,3-indandione)a base di etere di petrolio è stata applicata alla volta dove erano state apposte impronte nove settimane, una settimana e pochi minuti prima del rilevamento. Una volta trattato con questa soluzione, l’osso è stato fatto asciugare a temperatura e umidità ambientali per otto ore. Non è stata notata nessuna impronta, nemmeno dopo aver sottoposto il reperto ad alta umidità.


fig. 2


fig. 3 a sinistra cranio trattato con conservanti a destra cranio non trattato

Discussione e segnalazioni.

L’osso umano asciutto era meno disponibile al rilevamento delle impronte latenti quando rivestito da un conservante, presumibilmente perché questo riduce la normale porosità della superficie corticale. Ad ogni modo, molte delle impronte rilevate erano inadatte al confronto. Sebbene il tempo trascorso tra l’apposizione delle impronte e il loro rilevamento sembri essere un’importante variabile, nel complesso le impronte latenti più vecchie impresse sulle ossa conservate erano più visibili delle impronte più recenti apposte sulle ossa non conservate. È stato anche visto che le procedure standard di prelievo delle impronte tramite pellicola adesiva non erano attuabili, perché sulla pellicola rimanevano anche i segni delle striature dell’osso, che potevano potenzialmente mascherare i dettagli delle creste papillari. Come tecnica di documentazione principale, quindi, si raccomanda la fotografia.
La polvere magnetica nera ha superato di gran lunga le altre tecniche di rilevamento. Si possono usare anche altri colori, in quanto è stato visto che l’aspetto fondamentale è il magnetismo della polvere, grazie al quale non sono state messe in rilievo le naturali striature della superficie ossea.
I risultati ottenuti sono congrui con quelli di Otis e Downing [5], che hanno valutato il rilevamento delle impronte latenti sulle corna animali, che sono anche più porose della superficie corticale delle ossa umane. Anche questi autori hanno concluso che l’utilizzo della polvere magnetica nera forniva i migliori risultati rispetto alle altre tecniche descritte.
È evidente l’importanza forense di questo studio. Se gli scienziati forensi possono esaminare le ossa umane (conservate o no) prima di procedere ad altri tipi di studi su di esse, è possibile ottenere le impronte di chiunque abbia maneggiato le ossa in precedenza, e che potrebbe essere la stessa persona che le ha nascoste. Una cosa importante che è stata notata: i guanti di lattice possono sfumare o anche cancellare le impronte depositate sulle ossa, per cui è fondamentale minimizzare la manipolazione dei reperti prima del rilevamento. Non è raccomandato trattare le ossa con conservanti prima del rilevamento, in quanto possono alterare le impronte inizialmente depositate sulla superficie ossea.
Poiché i trattamenti effettuati sull’osso per rilevare le impronte (fumigazioni, ecc.) possono alterare anche la struttura del DNA, in caso sia necessaria un’analisi genetica si consiglia di asportare un frammento osseo prima di apporre ogni sostanza chimica. Lo stesso vale per la datazione tramite spettrometria di massa mediante radiocarbonio.

Conclusioni.

La polvere magnetica nera si è rivelata il metodo migliore per rilevare le impronte digitali latenti sulle ossa umane asciutte.

BIBLIOGRAFIA

1. Steadman, D. W. The Pawn Shop Mummified Head: Discriminating among Forensic, Historic, and Ancient Contexts. In Hard Evidence: Case Studies in Forensic Anthropology; Steadman, D. W., Ed.; Prentice Hall: Upper Saddle River, NJ, 2003; pp 212-226.
2. Bass, W. M. The Occurrence of Japanese Trophy Skulls in the United States. J. For. Sci. 1983, 28 (3), 800-803.
3. Sledzik, P.; Ousley, S. Analysis of Six Vietnamese Trophy Skulls. J. For. Sci. 1991, 36 (2), 520-530.
4. Willey, P.; Leach, P. The Skull on the Lawn: Trophies, Taphonomy and Forensic Anthropology. In Hard Evidence: Case Studies in Forensic Anthropology; Steadman, D. W., Ed.; Prentice Hall: Upper Saddle River, NJ, 2003; pp 176-188.
5. Otis, J. C.; Downing, A. Development of Latent Fingerprint Impressions on Deer Antlers. J. For. Ident. 1994, 44 (1), 9-14.
6. Czarnecki, E. R. Development of Prints on Antlers and Horns. J. For. Ident. 2002, 52 (4), 433-437.
7. Kent, T. Ed. Manual of Fingerprint Development Techniques; Home Office, Police Scientific Development Branch: Sandridge, UK, 1992.
8. Lee, H. C.; Gaensslen, R. E. Methods of Latent Fingerprint Development. In Advances in Fingerprint Technology; Lee, H. C., Gaensslen, R. E., Eds.; Elsevier: New York, 1991; pp 60-101.
9. Trozzi, T. A.; Schwartz, R. L.; Hollars, M. L. Processing Guide for Developing Latent Prints; Federal Bureau of Investigation: Washington, DC, 2000.
10. Koob, S. P. The use of Paraloid B-72 as an Adhesive: Its Applications for Archaeological Ceramics and other Materials. Studies in Conservation 1986, 31, 7-14.
11. Bradley, S. Strength Testing of Adhesives and Consolidants for Conservation Purposes. In Adhesives and Consolidants; International Institute for Conservation of Historic and Artistic Works: London, 1984; pp 22-24.
12. Spear, T.; Khoshkebari, N.; Clark, J.; Murphy, M. Summary of Experiments Investigating the Impact of Fingerprint Processing and Fingerprint Reagents on PCR-Based DNA Typing Profiles. 2003. California Association of Criminalists: Research webpage, www.cacnews.org (May 20, 2003).

AUTORI:
Dawnie Wolfe Steadman
Assistente Professore di Anthropologia Biologica, Binghamton University, NY

Steven A. Andersen
Investigatore, New York State Police

FONTE: Journal of Forensic Identification Vol. 53, No. 5, September/October 2003*

Traduzione e adattamento di Chiara Guarascio

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