lunedì 17 dicembre 2007

Empatia, come entrare in sintonia con gli altri


Maria M. è una donna estremamente empatica. Prende facilmente contatto con le emozioni degli altri, risponde subito con un sorriso se qualcuno le sorride anche se in quel momento lei è triste o in collera. Maria è una psicoterapeuta, sempre circondata da persone che le chiedono esplicitamente o implicitamente aiuto, conforto e comprensione: è sintonizzata su quella frequenza, sempre “in ascolto”, pronta a “mettersi nei panni degli altri”. Il suo filtro affettivo lascia passare più di quanto lei voglia. Se riesce a stabilire immediatamente il contatto, anche con sconosciuti, più difficile è staccare, a volte le succede di restare “attaccata” come ad un gancio. Solo dopo un grande allenamento emotivo ha imparato a dosare il coinvolgimento, a regolare la sua empatia.

Come spiegare il comportamento empatico? Si tratta di una particolare categoria mentale o un’esperienza comune nella vita quotidiana? Negli ultimi anni l’empatia è diventata oggetto di indagine scientifica al confine tra etologia, neuroscienze, psicologia e sociologia. Ma il termine (letteralmente “sentire”) nasce da molto lontano, dal mondo dell’arte. Ne iniziano a parlare alcuni esponenti dell’estetica tedesca di fine Ottocento per indicare il modo in cui è possibile comprendere un’opera d’arte.

Neuro-etologia dell’empatia. Esistono diversi livelli di empatia? Gli studi sull’origine evolutiva dell’empatia dimostrano come i delfini, gli elefanti, i canidi e la maggior parte dei primati rispondono alla sofferenza degli altri, in particolare al dolore provato da un animale con il quale hanno instaurato un legame di attaccamento.
Gli esperimenti effettuati recentemente alla McGill University sono significativi: due topi venivano collocati all’interno di tubi di plastica trasparente, in modo da potersi osservare a vicenda, e sottoposti ad un trattamento (iniezione di acido acetico) che ne provocava il contorcimento.
Il primo topo si contorceva di più, cioè manifestava un’intensificazione della propria esperienza, se anche l’altro si stava contorcendo. Cosa succedeva ai topolini? Semplice, erano stati in precedenza compagni di gabbia.

In ambito umano, la psicologia dello sviluppo distingue gli stadi del processo di crescita dell’empatia dal semplice contagio emotivo, tipico dei neonati, alle risposte imitative, fino all’emergere, intorno ai quattro-sette anni, di una “teoria della mente” (rappresentazioni mentali di ciò che accade nel mondo mentale degli altri). Nella forma più matura, l’empatia implica un notevole impegno cognitivo, indirizzato a recepire lo schema di riferimento interiore dell’altro, e una componente affettiva che induce a sperimentare reazioni emotive in seguito all’osservazione delle esperienze altrui.

Basi neurobiologiche dell’empatia. La capacità di “mettersi nei panni degli altri” si baserebbe su meccanismi di “risonanza interna” che permettono di simulare gli schemi motori, gli aspetti percettivi ed emozionali delle esperienze altrui, in altre parole, comprendiamo le emozioni degli altri ed empatizziamo con essi, evocando la medesima attività neurale associata con le nostre emozioni. Il punto di partenza è la funzione del “sistema dei neuroni specchio”, scoperto negli anni ’80-’90 dal gruppo diretto da Giacomo Rizzolatti all’Università di Parma, un circuito per la comprensione delle azioni, che si attiva sia quando si compie un’azione che mentre la si osserva negli altri. Successivamente Gian Luigi Lenzi dell’Università “La Sapienza” di Roma ha dimostrato che quando si genera empatia, il sistema limbico riceve informazioni dal circuito specchio fronto-parietale attraverso un’area disgranulare dell’insula, che rappresenterebbe così una possibile via di risonanza empatica.
L’empatia crolla drammaticamente nella sindrome autistica, forse a causa di un funzionamento patologico del circuito specchio laddove si connette con il sistema limbico. Uno studio a largo spettro sugli aspetti neurofisiologici, psicologici e clinici dell’empatia (in soggetti normali ed autistici) sta coinvolgendo attualmente i centri di ricerca dell’Università di Parma, dell’Università di Pisa e “La Sapienza” di Roma, con la coordinazione del professore Lenzi.

Come si sviluppa la disposizione empatica? Verosimilmente i fondamenti della vita emotiva vengono posti nella relazione madre-figlio, durante quel processo che Daniel Stern chiama “sintonizzazione”: piccoli gesti della madre finalizzati ad entrare in sintonia con il bambino che consentono a quest’ultimo di sapere che le sue emozioni incontrano l’empatia dell’altro, sono accettate e ricambiate. “Senza attaccamento (legame emotivo privilegiato madre-bambino) non esiste empatia - afferma Boris Cyrulnik, direttore delle ricerche in etologia all’Università di Tolone - provare interesse al mondo degli altri richiede l’abilità di non essere centrati su se stessi. Abbiamo bisogno di una base sicura per provare il piacere dell’esplorazione. Quando siamo supportati da un attaccamento sicuro possiamo sviluppare l’abilità empatica, qualche volta troppo, come nel masochismo, o non abbastanza, nella condizione che porta al sadismo”.
Un intorpidimento emotivo può essere anche la conseguenza di un trauma, ma paradossalmente avviene anche il contrario. Bambini sottoposti a violenze psicologiche intense e prolungate diventano ipersensibili alle emozioni altrui, ipervigilanti agli indizi che segnalano una possibile minaccia.

L’empatia è una caratteristica stabile della personalità? Lo sviluppo dell’empatia va di pari passo alla maturazione della personalità, tanto che nella forma più evoluta si può parlare di una “personalità empatica” con un buon funzionamento psichico e uno stile esistenziale orientato in senso etico. Se nel corso delle interazioni quotidiane, la vicinanza affettiva intensifica l’empatia, alcuni test basati sul comportamento di giocatori nel corso di una partita in cui si vincono delle somme di denaro dimostrano come può smorzarsi e annullarsi se si percepisce la disonestà dell’altro.

Mantenere un buon livello empatico nelle relazioni con gli altri. “Il presupposto di una interazione efficace e non disturbata è che ciascuna parte si accorga del punto di vista dell’altra” sosteneva Paul Watzlawick in “Pragmatica della comunicazione umana”. Bisogna essere sufficientemente calmi e disposti all’ascolto per decodificare il contenuto della comunicazione nei sentimenti e nelle emozioni corrispondenti: sentire la gioia, la tristezza, l’ira, la paura, il turbamento dell’altro, senza aggiungervi la nostra paura, il nostro turbamento. La comunicazione empatica è la forma di comunicazione “non violenta” per eccellenza, da cui è escluso il giudizio, ma anche il consiglio e l’interpretazione. Forma il nucleo di comunità solidali, perché nel momento stesso in cui agisce da “riconoscimento”dell’individualità di un’altra persona (sei importante per me, ho stima di te e riconosco, rispetto e condivido il tuo sentimento), accorcia le distanze tra noi e gli altri.

Articolo di Rosalba Miceli, tratto da: http://www.lastampa.it/

Nessun commento: