Corte di Cassazione Penale. Sezione III. Sentenza 7 febbraio 2007, n. 5012: "Sette religiose e condotte penalmente rilevanti".
- ABSTRACT-
E' punibile penalmente la condotta di colui che abbia posto in essere una situazione apparente, contraria a quella reale, consistente in realtà nel gestire una setta religiosa, priva di qualsiasi legittimazione ecclesiastica ufficiale, con modalità idonee a trarre in errore le vittime sulla reale natura dell'associazione (nel caso di specie, il ricorrente non perseguiva, nella gestione della comunità, alcuna finalità di natura spirituale o caritatevole, ma interessi di carattere patrimoniale facendo propri i vantaggi conseguibili dalle vittime indotte, con insistenti pressioni, a prestazioni di servizi e di opere, all'interno e all'esterno della sede della comunità, senza essere retribuite ovvero a compiere atti di disposizione patrimoniale in suo favore senza il corrispettivo del prezzo).
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico - Presidente -
Dott. PETTI Ciro - Consigliere -
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere -
Dott. GENTILE Mario - Consigliere -
Dott. SARNO Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.G., nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Venezia in data 9.11.2004 con cui è stata confermata la condanna alla pena della reclusione e della multa inflittagli nel giudizio di primo grado per i reati di cui agli artt. 81, 519, 521, 609 bis c.p., commessi in danno di B.S., B.E., B.E., O.
F., S.M.A., G.S., T. V., C.S.; art. 519 c.p., commi 1 e 2, n. 3, art. 609 bis c.p., in danno di B.E., B.E., S.
M.A., T.V.; art. 605 c.p. in danno della S.M.A., della G.S. e della T.V.; art. 582 e 583 c.p. in danno di T.V.; art. 640 cod. pen. in danno di
D.Z.M. e di B.M.; art. 519 c.p. e art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, commesso in danno di O.E.;
Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Teresi
Sentito il P.M. nella persona del P.G. Dott. MELONI Vittorio, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
Sentiti il difensore delle parti civili B.E., Ba. E., B.S., C.G., C.B., B.R., B.M., avv. RIZZO Maria Pia, che ha chiesto la condanna del ricorrente alla pena di giustizia e alla refusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili;
Sentito il difensore del ricorrente, avv. Massimo Valerio, il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Fatto
Con sentenza in data 9.11.2004 la Corte d'Appello di Venezia confermava la condanna alla pena della reclusione inflitta nel giudizio di primo grado al cittadino siriano B.G. quale colpevole:
- di avere, in tempi diversi, con violenza (consistente nel tenerle prive di libertà d'autodeterminazione, denutrite, sottoposte a massacranti lavori e a lunghe veglie di preghiera e a punizioni corporali e nel portare con forza la loro testa sul suo pene), costretto B.S., B.E., Ba.El., O. F.; S.M.A., G.S., T. V. e C.S. ad atti libidine diversi dalla congiunzione vaginale (rapporti orali e masturbazioni);
- di avere, con la violenza sopraindicata, costretto B.E., Ba.El., S.M.A. e T.V., persone non in grado di resistergli per inferiorità fisica e psichica, a congiunzioni carnali e per avere tentato di congiungersi carnalmente con G.S.;
- di avere privato della libertà personale la S.M.A., la G.S. e la T.V.;
- di avere, con ripetuti colpi agli arti inferiori e superiori, cagionato alla T.V. traumi contusivi, plurime lesioni ecchimotiche, polidistrettuali ed episodi di tendinite alle articolazioni interfalangee delle mani guarite in 60 giorni;
- d'avere, abusando della sua inferiorità psichica, costretto O.E. a subire rapporti sessuali orali e a masturbarlo;
e, in riforma della sentenza di primo grado, lo condannava, accogliendo l'appello del P.G.;
- per essersi, con artifici e raggiri, consistiti nel presentarsi come sacerdote della chiesa cattolica ortodossa dei (OMISSIS), nel suggestionare e carpire la buona fede di D.Z. M. con pratiche religiose, con promesse di felicità terrena e futura, alternate a minacce di gravissimi mali, inducendola a cedere parte di un suo immobile, ingannandola circa la destinazione dello stesso a chiesa della comunità, procurato un ingiusto profitto consistito nel riceversi detto immobile;
- per essersi, con artifici e raggiri, consistiti nel porre in essere un'attività di suggestione, con promesse di redenzione o minacce di gravissimi mali, con il proporsi come reincarnazione di Gesù Cristo capace di fare miracoli e predire il futuro, inducendo in errore B.M. circa la natura divina di esso B.G. e circa il valore di liberazione dal peccato delle privazioni morali e materiali subite, procurato un ingiusto profitto consistito nel fruire gratuitamente del lavoro del B.M..
La Corte accoglieva (per gli effetti ex art. 576 c.p.p. gli appelli delle parti civili B.S., B.E., Ba.El., O.F., B.M., C.S., T. V., S.M.A., O.E., nonchè quelli di C.B., B.R., C.G., liquidando i danni materiali e morali dalle stesse subiti.
Riteneva la Corte che l'appello non fosse idoneo a scalfire la sentenza del Tribunale, che faceva propria perchè dotata di ampio, puntuale e dettagliato apparato argomentativo, e da cui si evinceva che:
- B.G. aveva posto in essere un'attività pseudo religiosa denominata chiesa cattolica ortodossa dei (OMISSIS) gestendo una comunità in (OMISSIS) e altra missione in (OMISSIS);
- la chiesa aveva raccolto numerosi adepti che erano confluiti nelle missioni;
- intercettazioni telefoniche e racconti di vicini di casa avevano svelato il duro regime di vita in cui gli ospiti residenti versavano:
in particolare, subivano limitazioni nella libertà di espressione e di movimento, privazione dei beni essenziali, pesante lavoro, minacce, percosse, punizioni logoranti e violenze sessuali in danno di alcune ragazze, stati di veglia e di costrizione e cattiva ed insufficiente alimentazione;
- i locali della comunità non erano riscaldati e gli adepti erano nutriti con cibi scaduti da molto tempo;
- da accertamenti bancari era emerso che il denaro ceduto dai numerosi seguaci al B.G. o a persone di sua fiducia transitava in conti correnti e veniva investito in titoli dal consulente finanziario P.F. con una disponibilità finanziaria, riconducibile al B.G., di circa un miliardo e 665 milioni;
- negli stessi conti finivano anche i proventi della principale attività svolta dai ragazzi della comunità, quella di traslochi e trasporti, mentre altri ragazzi venivano impegnati (dalle 5/6 di mattina fino alle 9/10 di sera, tranne una breve pausa per mangiare) in pesanti attività edilizie all'interno dei locali senza venire retribuiti;
- erano emersi vari acquisti immobiliari nel corso degli anni, tra cui una casa in (OMISSIS) ceduta da D.Z.M. formalmente in vendita, ma sostanzialmente in donazione, dato che non risultava pagato il prezzo.
Nella ricostruzione dei fatti, attraverso la narrazione diretta delle persone offese, era emerso che "tutte le ragazze si erano avvicinate alla comunità del B.G. in età molto giovane per ragioni di ricerca religiosa e in coincidenza di gravi difficoltà di carattere personale e familiare;
- erano state le insistenze del B.G. ad indurre le giovani ad entrare come residenti;
- la vita all'interno della comunità era fatta di pratiche a sfondo religioso che si svolgevano attraverso cammini, risonanze di proprie sensazioni o di propri pensieri, canti, messe del sabato e della domenica che si protraevano fino al mattino del giorno seguente e un duro lavoro manuale che non veniva retribuito, sebbene B.G. percepisse i pagamenti per i lavori di trasporto svolti all'esterno;
- il B.G. si era dimostrato molto violento sia con le parole che con i fatti che avevano assunto la consistenza di vere e prolungate sevizie (bastonate, segregazioni, pubbliche umiliazioni, digiuni);
- ciò nonostante le giovani non erano state in grado di lasciare la comunità sia per incapacità di adottare una simile decisione per le minacce subite e per la prostrazione psicologica sia per vera e propria costrizione fisica;
- in questo clima d'oppressione B.G. aveva manifestato verso le giovani particolare attenzione sessuale connotata di violenza e perversione pretendendo dalle ragazze cure alla propria persona con massaggi sul corpo e toccamenti; aveva spinto le giovani a credere che il suo pene fosse un mezzo di purificazione e in molti casi e per periodi prolungati aveva imposto masturbazioni, coiti orali e rapporti sessuali completi.
Osservava la Corte che le deposizioni accusatorie erano plurime, concordanti e confortate da altri apporti testimoniali esterni, nonchè dalle constatazioni degli inquirenti in sede di perquisizione domiciliare in cui era stato rilevato lo stato di segregazione della T.V., donde l'infondatezza dei rilievi difensivi diretti a dimostrare l'inattendibilità dei testi.
Proponeva ricorso per Cassazione l'imputato denunciando mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità per i reati ravvisati e alle conseguenti statuizioni di condanna civilistica, anche autonomamente a seguito dell'assoluzione per alcuni reati.
La sentenza, apparentemente motivata per relationem, aveva violato il principio in dubio pro reo; aveva fatto affermazioni contrastanti con le acquisizioni processuali, peraltro incerte ed incomplete; aveva legittimato attività illegittime di gravissima intromissione nella sfera privata dell'imputato (con intercettazioni e sequestri) per reati insussistenti; lo aveva illegittimamente gravato di oneri probatori.
Asseriva di essere stato colpito dall'inchiesta giudiziaria non personalmente, ma forse perchè l'associazione religiosa non era gradita ed andava discriminata.
Rilevava, in ordine ai reati di natura sessuale (sulla cui procedibilità mancava una congrua motivazione), che la Corte si era contraddetta nell'affermare che le accuse fossero concordanti avendo dato atto che D.B.I., la cui querela era stata ritenuta tardiva, si era allontanata dalla comunità nel mese di maggio 1996 e che, quindi, da tale data erano cessate le attenzioni sessuali dell'imputato e non aveva comparato ciò con le dichiarazioni delle altre ragazze ( O.E. aveva dichiarato nella querela presentata il 30 giugno 1997 di avere subito abusi sessuali "fino a poco tempo fa... fino a quando non fui sostituita con le nuove giovani D.B.I., B.E., B.S. e G.S." essendo successivamente uscita dalla comunità nel gennaio 1977 (da leggersi 1997), mentre la G.S. aveva dichiarato di non aver fatto sesso da prima della fine del 1996).
L'insanabile contraddizione sulle date dichiarate dalle predette Configurava mancanza della prova sul tempus delicti e quindi, dell'elemento materiale dei reati.
Erano inaffidabili le perizie medico legali espletate, donde la necessità della ricognizione del suo pene, mai descritto con precisione dalle parti lese che non l'avevano mai visto e che avevano dato divergenti versioni sulla capacità d'erezione e di penetrazione vaginale dell'organo, nonchè sull'enorme quantità giornaliera delle sue prestazioni sessuali, essendo egli sessualmente debilitato.
Erano inutilizzabili le deposizioni e le perizie di parte del Dr. A., il quale aveva vissuto per un certo periodo in comunità, nonchè le dichiarazioni dei funzionari di PS, i sequestri e le intercettazioni telefoniche che erano stati autorizzati per i reati di riduzione in schiavitù, di armi e di droga, rivelatiti insussistenti e non per quelli ravvisati successivamente.
Denunciava l'imputato la mancata assunzione di prove decisive perchè era mancato un controllo penetrante sullo stato d'inferiorità fisica e psichica delle parti civili donde l'impossibilità di decidere sulla base degli incerti dati acquisiti e la necessità della rinnovazione dibattimentale, anche per accertare la personalità delle persone offese, per risentire le persone offese cadute in contraddizione e per eseguire confronti.
La Corte aveva erroneamente ritenuto tempestive le proposte querele ed irrilevante la mancata apposizione del timbro-tondo, sigillo di Stato che deve essere apposto sugli atti pubblici (comprese le querele e gli atti di PG) per certificare l'autenticità delle dichiarazioni rese da privati.
Erano censurabili l'omessa declaratoria di nullità dei capi d'imputazione, arbitrariamente riformulati dalla Corte e l'esclusione della tesi del complotto in suo danno giustificata dai rapporti di interesse/affetto/sesso/parentela/convivenza fra ragazze e ragazzi della comunità, rapporti sottaciuti al Tribunale.
Denunciava, altresì, il ricorrente mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità per i delitti di truffa in danno della D.Z. e del B.M. perchè, la prima, aveva liberamente ceduto l'intero immobile, mentre l'imputato non si era appropriato delle spettanze lavorative, nè delle offerte ricevute dai seguaci, ma le aveva investite in attesa di destinazioni future agli scopi dell'associazione fondata 20 anni prima con atto pubblico.
Conseguentemente doveva essere escluso qualsiasi intento truffaldino.
Contestava il criterio di liquidazione dei danni per l'omessa specifica valutazione di ogni posizione creditoria (specie quelle degli appellanti ex art. 576 c.p.p. cui non giovava "un ammasso di dichiarazioni dubbie, contrastanti tra loro e pure interessate:
C.B. aveva sposato B.E. nel 1998 e convive con i genitori C.G. e B.R.), nonchè la condanna al risarcimento del danno in favore di C.B. e di B.M. perchè le pretese di retribuzioni lavorative dovevano essere fatte valere presso il Tribunale del lavoro.
Denunciava, infine, il ricorrente mancanza e illogicità della motivazione sull'irrogazione della pena perchè minima era stata la riduzione per l'esclusione della violenza sessuale in danno della D.B.I. ed eccessivo l'aumento per le due truffe, nonchè in ordine al diniego delle attenuanti generiche nella loro massima estensione.
Chiedeva l'annullamento della sentenza.
Sono infondate le eccezioni d'ordine procedurale.
Ha affermato questa Corte che "ai fini della perseguibilità d'ufficio dei delitti contro la libertà sessuale, la connessione richiesta dall'art. 542 cod. pen. fra i due o più fatti costituenti reato non può identificarsi con l'istituto processuale della connessione", che costituisce un criterio originario ed autonomo di determinazione della competenza, "essendo necessario che l'accertamento del fatto costituente delitto perseguibile d'ufficio comporti l'estensione dell'indagine anche ad un fatto costituente reato contro la libertà sessuale. La connessione di cui all'art. 542 cod. pen., invero, può ravvisarsi o perchè i fatti sono stati commessi nello stesso spazio di tempo, ovvero se posti in essere per eseguire o occultare un altro reato, oppure alfine di conseguire l'impunità" (Cassazione Sezione 3^, n. 12468, 20.12.1995, Radi).
Dopo l'entrata in vigore della L. n. 66 del 1996 è stato ribadito che la connessione prevista dall'art. 542 cod. pen., comma 3, in relazione alla particolare ipotesi di perseguibilità di ufficio dei reati ivi indicati, riportata anche nell'art. 609 septies c.p., comma 4, è solo quella materiale e non anche processuale "giacchè la ratio di questa disposizione deve individuarsi nel venire meno deimotivi, posti a base della perseguibilità a querela di questi reati, ed in particolare dell'esigenza della riservatezza, in quanto l'indagine investigativa sul delitto perseguibile d'ufficio comporta necessariamente l'accertamento degli altri e, quindi, la diffusione della notizia" (Cassazione Sezione 3^, n. 3014, 8.08.1996, Somma).
Anche più recentemente è stato escluso che la connessione prevista dall'art. 452 cod. pen. si identifichi nell'istituto processuale di cui all'art. 12 c.p.p. "essendo sufficiente che tra il reato di violenza sessuale e l'altro perseguibile d'ufficio vi sia connessione investigativa" (Cassazione Sezione 3^, n. 627, 3 aprile 1998, Caldura; Sezione 3^, n. 43139/2003, Vegini, RV. 227477; Sezione 3^, n. 32971/2005, Marino RV. 232185), sicchè, nella specie, ritualmente si è proceduto d'ufficio essendo stata ritenuta connessione investigativa tra i reati procedibili d'ufficio e quelli procedibili a querela perchè la necessaria istruttoria diretta all'accertamento dei reati procedibili d'ufficio (sequestro di persona, truffa) coinvolgeva necessariamente anche quelli procedibili a querela, sicchè non vi era più ragione per tutelare la riservatezza della persone offese.
Pur essendo irrilevante il motivo relativo alla mancata apposizione sulle querele del timbro di Stato, va comunque osservato che la mancanza del timbro dell'ufficio non rende inutilizzabili gli atti di PG, ai sensi dell'art. 191 c.p.p., essendo gli stessi, nella specie, accompagnati da elementi che consentono il positivo controllo sia della provenienza dell'atto sia della sua autenticità.
Non sussiste, poi, l'eccepita nullità dei capi d'imputazione di cui al procedimento n. 105/1997, avendo la Corte correttamente ritenuto che il contenuto delle accuse, in ordine alle quali l'imputato ha spiegato ampia difesa, era perfettamente comprensibile anche con l'omissione delle lettere dell'alfabeto accoppiate a ciascun capo.
Ha ancora eccepito il ricorrente l'inutilizzabilità delle dichiarazioni dei funzionali di PS, dei sequestri e delle intercettazioni telefoniche, perchè autorizzati per i reati di riduzione in schiavitù, di armi e di droga, rivelatisi insussistenti e non per quelli ravvisati successivamente.
Anche tale censura è infondata perchè, nella specie, le intercettazioni telefoniche e i suddetti atti di PG non sono stati eseguiti in un diverso procedimento, donde in divieto di cui all'articolo 270 c.p.p., comma 1, ma riguardavano il presente procedimento nel corso del quale le ipotesi accusatorie si sono cristallizzate nella contestazione finale alla stregua delle conseguite acquisizioni processuali.
Non può, quindi, parlarsi d'inutilizzabilità perchè gli atti di PG non sono stati acquisiti in violazione di divieti stabiliti dalla legge, come recita l'art. 191 c.p.p., e perchè le intercettazioni telefoniche sono state legittimamente eseguite, sicchè va esclusa l'eccepita nullità che sussiste solo qualora le stesse siano eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dall'art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., commi 1 e 3, come testualmente recita l'articolo 271 c.p.p., comma 1.
Pertanto, anche le deposizioni e le perizie di parte del Dr. A., il quale aveva vissuto per un certo periodo in comunità, sono state legittimamente utilizzate e ritenute rilevanti per avere positivamente superato il vaglio d'attendibilità.
Il ricorso, nel resto, non è puntuale perchè propone censure generiche che distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che, invece, possiede un logico apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali in quanto organicamente collegato alla sentenza di primo grado espressamente richiamata per relationem limitatamente ai reati per i quali era intervenuta condanna.
Nel caso in esame tale motivazione era consentita essendo le censure formulate dall'imputato a carico della sentenza del primo giudice prive di elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso con argomentazioni corrette ed immuni da vizi logici.
Non è, quindi, ravvisabile l'asserita illogicità della motivazione che, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass. S.U. n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Fissato il sopraindicato limite, è vietato a questa Corte di procedere alla ricostruzione del fatto diversamente da quanto abbia fatto il giudice di merito in presenza di concreti elementi, nonchè di prendere in considerazione censure, sia pure specifiche, inidonee a dimostrare in modo incontrovertibile la difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dalla prova assunta e le conseguenza, che il giudice di merito ne abbia tratto (come nel caso in cui un fatto considerato come esistente sia invece pacificamente inesistente).
Nel caso in esame, il ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano motivato l'affermazione di responsabilità, non già sulla base di concreti elementi di prova, ma con argomentazioni contraddittorie ed illogiche che danno rilievo a dati evanescenti e meritevoli di specifico approfondimento.
L'assunto non è fondato essendo la motivazione incensurabile perchè adeguata e giuridicamente corretta.
L'affermazione di responsabilità per i delitti di violenza sessuale in danno di ragazze inserite nella comunità gestita dall'imputato;
di sequestro di persona di tre di loro e di lesioni personali gravi in danno di T.V. è stata ricollegata a specifici e concreti elementi di prova, quali le plurime, concordanti, circostanziate e coerenti dichiarazioni delle predette, dalle quali risulta che l'imputato, in tempi diversi, con violenza e minacce la ha costrette a subire un numero rilevante e ravvicinato nel tempo di atti sessuali; le ha private della libertà personale ed ha arrecato alla T.V. gravi lesioni.
I fatti delittuosi sono stati commessi nell'esercizio di un'attività pseudoreligiosa, denominata chiesa cattolica ortodossa dei (OMISSIS), svolta in locali siti in (OMISSIS) e in (OMISSIS) nei quali erano affluiti numerosi adepti, tra cui alcune giovani le quali hanno dichiarato che si erano avvicinate alla comunità del B.G. in età molto giovane per ragioni di ricerca religiosa e in coincidenza di gravi difficoltà di carattere personale e familiare e che erano ivi rimaste, come residenti, per le insistenze del B.G..
La vita all'interno della comunità era fatta di pratiche che si svolgevano attraverso cammini, risonanze di proprie sensazioni o di propri pensieri, canti, messe del sabato e della domenica che si protraevano fino al mattino del giorno seguente.
B.G. gestiva la comunità con modi gratuitamente autoritari, immotivatamente repressi e violenti sia con le parole che con i fatti che avevano assunto la consistenza di vere e prolungate sevizie (bastonate, segregazioni, pubbliche umiliazioni, digiuni) asseritamente praticate per scacciare il maligno e per la liberazione dal peccato e che avevano fiaccato la capacità di reazione delle vittime che non erano state in grado di lasciare la comunità sia per incapacità di adottare una simile decisione per le minacce subite e per la prostrazione psicologica sia per vera e propria costrizione fisica.
I ragazzi venivano adibiti un duro lavoro manuale (trasporti e traslochi; lavori edilizi e di manutenzione dei locali) che non veniva retribuito sebbene B.G. percepisse i compensi per i lavori svolti all'esterno e in questo clima d'oppressione il predetto aveva commesso sulle ragazze atti sessuali pregni di violenza e perversione pretendendo dalle giovani cure alla propria persona con massaggi sul corpo e toccamenti; spingendole a credere che il suo pene fosse un mezzo di purificazione e in molti casi e per periodi prolungati aveva loro imposto masturbazioni, coiti orali e rapporti sessuali completi.
Il fatto che agli albori delle indagini le vittime avessero negato qualunque abuso in loro danno non inficiava, ma rafforzava la loro credibilità costituendo prova dei condizionamenti subiti dal B.G. che le aveva minacciate prima che si recassero dalla Polizia.
La condizione d'inferiorità psichica ben poteva ricavarsi dai racconti delle vittime, le quali avevano dichiarato di essere state fiaccate dalla fatica e dagli stenti, di non aver avuto alcun momento di tempo libero, di essere state private di ogni forma di dialogo, di confidenza, di atteggiamenti critici nonchè di risorse economiche, di essere state oggetto della ferrea sorveglianza del B.G. e dei suoi diretti collaboratori.
Vi era una provocata, costante incertezza sulle regole da seguire che a sua volta determinava uno stato di perenne tensione e di paura, dipendenza e insicurezza.
Col pretesto della purificazione le giovani venivano private di qualunque sfera di riservatezza sia mentale (dovendo narrare le loro precedenti esperienze) che fisica (ispezioni corporali) sì da non potere criticamente valutare gli approcci sessuali ed opporsi ad essi.
I testi addotti dalla difesa nulla di significativo avevano addotto sul piano probatorio, asserendo genericamente che la comunità era gestita in modo regolare.
Invece, gli stessi si erano rivelati all'oscuro di particolari importanti della vita del B.G. relativi alla personale disponibilità di consistenti ricchezze (non sapevano indicare alcuna delle cd. missioni estere che avrebbero beneficiato di fondi elargiti dalla missione) personalmente gestite (come dichiarato dal consulente finanziario P.F., secondo cui ogni decisione sugli investimenti faceva capo esclusivamente al B.G.) e alla trasgressione delle regole professate per essersi il predetto civilmente sposato con D.S.I..
Sono stati individuati anche precisi riscontri costituiti:
- dalle dichiarazioni di alcuni ragazzi pellai, D. e C. B., B.M., Sa., che avevano vissuto nella comunità) e del teste G.R., sacerdote, che contravvenendo ai divieti impostigli dai superiori, si era allontanato dalla chiesa cattolica ufficiale (l'utilizzo di un campanello da parte dell'imputato per chiamare nella sua camera alcune delle ragazze con un certo numerosi squilli a seconda della prescelta; alcune di esse piangevano uscendo dalla camera, l'uso di percosse e di punizioni corporali, l'alimentazione scadente, l'imposizione di digiuni, le minacce di castighi divini);
- dalle testimonianze di soggetti estranei alla comunità ( M.R. e R.S. hanno assistito personalmente dalla sua proprietà confinante con la missione a punizioni corporali, bastonate, privazione di libertà, tentativi di fuga repressi);
- dalle intercettazioni telefoniche attivate sulle utenze istallate presso le due sedi della comunità, (trascritte nella sentenza di primo grado) e che riportano colloqui sulle regole e sulle condizioni di vita imposte ai fedeli; conversazioni che fanno chiaro riferimento alle violenze, ai condizionamenti psicologici e alle minacce attuati da B.G. in danno degli adepti, a minacce in danno di chi voleva lasciare la comunità o ne veniva cacciato;
- dagli accertamenti medico-legali sulla dedotta impotenza dell'imputato, risultando dalla CT collegiale che "l'obiettività è del tutto compatibile con una normale funzione sessuale"; che lo stato d'insufficienza erettile non era conclusivo per tale patologia;
che la capacità di eiaculazione non era influenzata dalle patologie di cui era affetto l'imputato; che non era probante il monitoraggio della tumescenza notturna svolto con un apparecchio lasciato nell'esclusiva disponibilità di un imputato di violenza sessuale interessato a dimostrare l'infondatezza delle accuse rivoltegli;
- dagli episodi di segregazione che avevano interessato alcune ragazze;
- dalle gravi lesioni riscontrate sulla persona di T.V. in varie parti del corpo causalmente ascrivibili a traumi, lesioni plurime, reiterate in un lungo arco temporale, compatibili con un mezzo traumatico contusivo quale poteva essere un bastone.
Non ha consistenza l'obiezione secondo cui vi sarebbe contraddizione nelle dichiarazioni della D.B.I., di O.E. e della G.S. circa i tempi della loro permanenza e uscita dalla comunità sia perchè le date indicate sono approssimative e, comunque, conciliabili sui tempi dello svolgimento dei fatti sia perchè trattasi d'incongruenze di poco rilievo, prive di concreta incidenza sul giudizio finale, stante la complessiva attendibilità dei racconti delle ragazze, confortati da rilevanti riscontri esterni circa il reale accadimento delle violenze sessuali.
Non può reggere, quindi, la tesi difensiva del complotto ordito ai danni dell'imputato, tesi che i giudici di merito hanno puntualmente confutato (" G.R., indicato quale presunto ideatore del complotto, era ancora saldamente legato alla figura del B. G. e alla sua missione nell'epoca in cui erano state presentate le denunce: risalgono al 22.12.1998 alcune lettere con cui il G.R. esortava i ragazzi a ritirare le denunce; egli era uscito dalla comunità solo nel gennaio 1999 e soltanto da quell'epoca aveva denunciato le condotte del B.G., quando cioè erano stati già ampiamente raccolti gli elementi posti a base dell'accusa: Il "complotto" asseritamente capeggiato dal G.R. non aveva dunque ragione di esistere").
Nè rilevano negativamente per l'accusa i rapporti affettivi e di coniugio intercorsi tra alcuni testi, la cui attendibilità è stata pienamente riscontrata anche con riscontri esterni.
A questo punto va espresso un complessivo giudizio negativo sull'insistita censura relativa all'omessa assunzione di prove decisive perchè i giudici di merito hanno correttamente escluso la necessità d'integrazione probatoria alla stregua dell'ampiezza ed esaustività degli elementi raccolti.
I testi avevano esposto diffusamente nel giudizio di primo grado le loro esperienze di comunità, sicchè le loro deposizioni non richiedevano alcuna integrazione, ma dovevano costituire soltanto oggetto di valutazione che i giudici di merito hanno effettuato nel rispetto dei criteri di logicità, globalità ed adeguatezza rilevando che "tutte le ragazze si erano avvicinate alla comunità del B.G. in età molto giovane (spesso erano ancora minorenni) per ragioni di ricerca religiosa e per lo più in coincidenza con gravi difficoltà di carattere personale o familiare".
Le condizioni di salute dell'imputato sono state rilevate con una perizia collegiale che, con corretti metodi scientifici, ha ritenuto che la riscontrata forma d'insufficienza erettile del pene non pregiudicava una normale funzione sessuale e non comprometteva la capacità d'erezione e di eiaculazione, dati che hanno trovato conferma nelle dichiarazioni delle varie ragazze che hanno subito violenza, nella maggior parte dei casi, con la costrizione a compiere masturbazioni, toccanti lascivi e coiti orali (atti che non richiedono la completa erezione del pene) e, talvolta, con l'imposizione di stentati coiti vaginali.
Non occorrevano, quindi, ulteriori approfondimenti medico legali, nè l'esame del pene le cui caratteristiche erano desumibili dalle percezioni ricavate dalle giovani vittime in relazione all'intensità delle violenze subite, donde la gratuità dell'asserzione difensiva che le costoro non l'avessero mai visto.
Nè poteva sorprendere l'enorme quantità giornaliera delle prestazioni dell'imputato, pur sessualmente debilitato, perchè la violenza veniva esercitata non solo per soddisfare la brama sessuale dell'agente, ma anche per affermare platealmente l'intento di sopraffazione nei confronti delle donne, profondamente disprezzate, come si evince dal contenuto delle intercettazioni telefoniche (riportato nella sentenza di primo grado) che "pongono in luce un rapporto distorto del B.G. con il mondo femminile".
Generiche e incongrue sono le censure relative alla configurabilità del reato di truffa in danno della D.Z.M. e del B.M., nonchè per i fatti di natura civilistica in danno di B.R., C.G. e C.B., secondo cui:
- per la D.Z.M. l'affermazione di responsabilità avrebbe dovuto comportare imputazione penale a carico del notaio per circonvenzione d'incapace o falso, cosa che non era avvenuta perchè il notaio aveva "dato atto nel rogito proprio di quello che le parti volevano e non era stato indagato per alcun reato" avendo la donna liberamente ceduto l'intero immobile;
- per B.M. e i civilmente danneggiati, egli non si era appropriato delle spettanze lavorative e delle somme o garanzie bancarie provenienti degli adepti poichè aveva investito i relativi importi in attesa di futuri impieghi per gli scopi dell'associazione fondata con atto pubblico, donde l'assenza di qualsiasi intento truffaldino.
Tali critiche, però, non scalfiscono le argomentazioni dei giudici di merito che hanno ravvisato gli elementi costitutivi del reato per avere l'imputato posto in essere una situazione apparente, contraria a quella reale, consistita nel gestire una setta religiosa, priva di qualsiasi legittimazione ecclesiastica ufficiale, con modalità idonee a trarre in errore le vittime sulla reale natura dell'associazione, ignorando le stesse che B.G. non era sacerdote e che era sposato civilmente; che lo stesso, come risulta dalle deposizioni del consulente finanziario P.F., non perseguiva alcuna finalità di natura spirituale o caritatevole, ma soltanto interessi di carattere patrimoniale facendo propri i vantaggi conseguibili dalle vittime indotte, con insistenti pressioni, a prestazioni di servizi e di opere all'interno e all'esterno della sede della comunità, senza essere retribuite ovvero a compiere atti di disposizione patrimoniale in suo favore senza il corrispettivo del prezzo.
Quindi, la Corte d'appello ha individuato solidi elementi probatori a carico dell'imputato e dato convincenti spiegazioni sulle comprensibili imprecisioni e incoerenze su talune circostanze di contorno sì da escluderne l'incidenza sulla riportata ricostruzione dei fatti collocati in un preciso e reale contesto ambientale.
In conclusione, sono infondate le censure sull'affermazione di responsabilità perchè non hanno rilevanza in questa sede valutazioni del fatto diverse da quella adottata dai giudici dell'appello, non potendo il controllo di legittimità investire l'intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori, riservata al giudizio di merito, nè la loro rispondenza alle effettive acquisizioni processuali.
Osservato che "il mezzo di impugnazione ex art. 576 c.p.p., comma 1, è l'unico offerto alla persona offesa, costituita parte civile, per evitare gli effetti pregiudizievoli sugli interessi civili della pronuncia d'assoluzione" (Cassazione Sezione 4^, n. 10451/1997, Marcelli, RV. 209673), è incensurabile la condanna al risarcimento del danno in favore di C.B. e di B.M. potendo l'atto di disposizione avere carattere omissivo, come nel caso del creditore che rinuncia ad esigere il suo credito.
E' fondata, però, la contestazione del criterio della liquidazione del danno subito da C.G. e da B.R., appellanti ex art. 576 c.p.p., (C.G. ha versato all'imputato la somma di L. 20.000.000 e materiali del valore di L. 30.000.000 ed ha lavorato nella comunità senza compenso, mentre la B.R. ha sottoscritto fideiussioni per L. 45 milioni) per l'omessa valutazione della loro specifica posizione creditoria, non potendo valere nei loro confronti le "condizioni di vita all'interno della comunità... di gran lunga deteriori rispetto a quelle cui sono sottoposti i detenuti in qualsiasi carcere della Repubblica", non risultando accertato che essi abbiano fatto parte della comunità.
Non avendo i giudici di merito svolto alcuna considerazione in merito, la sentenza deve essere annullata con rinvio al giudice civile competente per la quantificazione del danno.
Non è censurabile la determinazione della pena perchè "deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorchè siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p." (Cass. Sez. 6^, n. 9120/1998, RV. 211582).
Nella specie, la riduzione di un mese di reclusione per l'esclusione della violenza sessuale in danno della D.B.I. (la cui querela è stata considerata tardiva) è congrua alla stregua dell'eccezionale gravità dei fatti per i quali era intervenuta condanna, della loro reiterazione, del notevole numero delle vittime e dell'assenza di resipiscenza.
La determinazione della pena per le truffe in danno della D.Z. M. e del B.M., avvinte dalla continuazione, nonchè il diniego delle attenuanti generiche non richiedevano diffusa motivazione stante la genericità delle censure.
L'imputato va condannato alla rifusione delle spese del grado in favore delle parti civili, come specificato in dispositivo.
La Corte, visto l'art. 622 c.p.p., annulla la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione dei danni in favore delle parti civili C.G. e B.R. e rinvia al giudice civile competente per valore in grado d'appello.
Rigetta il ricorso nel resto e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili Ba.El., B.S., B.E., B.M. e C.B., liquidate complessivamente in Euro 3.210,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. ed accessori di legge.
Spese compensate per C.G. e B.R..
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 18 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2007
Tratto da www.olir.it
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