Al-Zawahiri, vice di Bin Laden, George Habash, fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Fathi Shikaki, capo dell’organizzazione Jihad Islamica. E ancora: sette degli otto responsabili dei falliti attentati a Londra e Glasgow erano medici e la lista non finisce qui.
In realtà i medici responsabili di massacri non sono una prerogativa del terrorismo islamico, si pensi ad esempio agli esperimenti e ai programmi di genocidio della Germania nazista o dell’Unione Sovietica di Stalin. Un numero spropositato di medici sono leader di organizzazioni terroristiche, scrive Walter Laqueur nel suo libro “No End to War”. Ma perché? Come sottolinea giustamente Robert Sibley in un commento sul Canadian Medical Association Journal, a capo dei movimenti più radicali politici o religiosi c’è sempre un gruppo di intellettuali. Ma c’è di più: secondo l’autore, i professionisti della medicina sono inclini ad un eccesso di sicurezza nelle proprie capacità e di dedizione spirituale dettata dal fatto che spesso dalle loro mani dipende la vita di altre persone. Sono questi elementi che possono portare ad errori e a convinzioni che spesso sorpassano le vere ragioni materiali di una ribellione, come ad esempio il rivendicare un’oppressione di un altro Stato.
Secondo il filosofo Eric Voegelin esiste una condizione mentale, da lui definita “pneumopatologica” (dall'etimologia greca: patologia dell’anima) per distinguerla da quella psicopatologica, che porta un soggetto a vivere una realtà ulteriore che si discosta dalla realtà ordinaria. E’ uno stato mentale che può far credere, ad esempio, che uno sterminio di massa rappresenti uno strumento per riordinare il mondo e “guarirlo” dai suoi mali. Uno stato mentale frutto di quella forte dedizione spirituale, che rappresenta uno dei cardini della professione medica.
Bibliografia. Sibley R. When healers become killers: the doctor as terrorist. CMAJ 2007; 177(6):688-9.
A cura de Il Pensiero Scientifico Editore
In realtà i medici responsabili di massacri non sono una prerogativa del terrorismo islamico, si pensi ad esempio agli esperimenti e ai programmi di genocidio della Germania nazista o dell’Unione Sovietica di Stalin. Un numero spropositato di medici sono leader di organizzazioni terroristiche, scrive Walter Laqueur nel suo libro “No End to War”. Ma perché? Come sottolinea giustamente Robert Sibley in un commento sul Canadian Medical Association Journal, a capo dei movimenti più radicali politici o religiosi c’è sempre un gruppo di intellettuali. Ma c’è di più: secondo l’autore, i professionisti della medicina sono inclini ad un eccesso di sicurezza nelle proprie capacità e di dedizione spirituale dettata dal fatto che spesso dalle loro mani dipende la vita di altre persone. Sono questi elementi che possono portare ad errori e a convinzioni che spesso sorpassano le vere ragioni materiali di una ribellione, come ad esempio il rivendicare un’oppressione di un altro Stato.
Secondo il filosofo Eric Voegelin esiste una condizione mentale, da lui definita “pneumopatologica” (dall'etimologia greca: patologia dell’anima) per distinguerla da quella psicopatologica, che porta un soggetto a vivere una realtà ulteriore che si discosta dalla realtà ordinaria. E’ uno stato mentale che può far credere, ad esempio, che uno sterminio di massa rappresenti uno strumento per riordinare il mondo e “guarirlo” dai suoi mali. Uno stato mentale frutto di quella forte dedizione spirituale, che rappresenta uno dei cardini della professione medica.
Bibliografia. Sibley R. When healers become killers: the doctor as terrorist. CMAJ 2007; 177(6):688-9.
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