La musica della chitarra non solletica tanto la fantasia di Carol Crane, le accarezza dolcemente le caviglie. Quando ascolta i violini, li “sente” sulla faccia. Le trombe invece le pizzicano la parte posteriore del collo. Carol Crane non è una poetessa e queste non sono metafore, sono il suo modo “normale” di percepire il mondo.
Oltre a sentire i suoni degli strumenti musicali sul suo corpo, la Crane vede le lettere ed i numeri in tonalità brillanti.
La Crane e Day sembrano forse un po’ matti, ma non lo sono per nulla: sperimentano soltanto quella straordinaria condizione sensoriale denominata sinestesia.
Per i neuroscienziati si tratta di un vero rompicapo. Il fenomeno è biologico, automatico e apparentemente non appreso, distinto sia dalle allucinazioni che dalla metafora, presenta caratteristiche di familiarità ed è più comune fra le donne che fra gli uomini.
L’incidenza è di circa 1 individuo su 2.000 anche se alcuni esperti ritengono che una persona su 300 presenti una variante meno eclatante.
La forma più comune è quella dell’ascolto colorato: suoni, musica o voci visti come colori. La maggior parte dei sinestetici riferisce di vedere i suoni internamente, "nell'occhio della mente." Soltanto una minoranza, come Sean Day, percepisce i colori come se fossero proiettati fuori del corpo, solitamente entro una distanza pari all'estensione del braccio.
Alcuni sinestetici lamentano uno spiacevole sovraccarico sensoriale, solitamente però la condizione non costituisce un problema, la maggior parte dei pazienti la considera una parte della propria identità.
Ma a cosa può essere dovuta? C'entrano qualcosa le famose "aure"?
Nel 1987 una squadra condotta da Baron-Cohen ha fornito la prova che le esperienze dei sinestetici sono costanti nel tempo. I ricercatori hanno chiesto a un soggetto di descrivere il colore che veniva innescato per ciascuna di 100 parole. L’anno dopo, ripetendo la prova senza averlo preventivamente avvertito, hanno riscontrato che le associazioni fra le parole ed i colori restavano le stesse dell’anno prima, mentre un individuo non sinestetico già dopo due settimane dimentica completamente delle associazioni colore-parola apprese sperimentalmente.
Baron-Cohen ha inoltre constatato che, scansionando il cervello di questi soggetti con “ascolto colorato” alla PET e alla risonanza magnetica, aumentava l’attivazione delle aree cerebrali deputate alla visione quando i soggetti erano esposti a determinati suoni.
Nel 2000, i ricercatori Mike Dixon, Daniel Smilek, Cera Cudahy e Philip Merikle, dell’Università di Waterloo, hanno dimostrato che (pdf), per un sinestetico, l’ esperienza del colore connessa con le cifre potrebbe essere indotta anche se le cifre non fossero mai presentate. Chiedendo a un paziente di risolvere la somma "5 + 2." il paziente ha attivato il concetto di 7, e ha percepito il colore connesso con 7. L’ esperienza del colore è stata quindi associata al concetto, al significato della cifra, e non alla forma effettivamente percepita di un 7 (barretta superiore+stanghetta diagonale).
Come il cervello faccia una cosa simile nessuno lo sa.
Baron-Cohen ed i suoi colleghi avanzano l’ipotesi che la sinestesia derivi da una sovrabbondanza genetica dei collegamenti neurali. Di norma funzioni sensoriali differenti sono gestite da moduli cerebrali separati con scarsa comunicazione fra loro. Nei sinestetici l’architettura del cervello sarebbe tale per cui la modularità dei sistemi si interromperebbe per dar origine a una sorta di groviglio neurale.
Daphne Maurer, psicologo all'università di McMaster, ha ipotizzato che tutti gli esseri umani in realtà nascano con i collegamenti neurali che permettono la sinestesia, ma che la maggior parte di noi perda questi collegamenti nel corso dello sviluppo.
Lo psicologo Peter Grossenbacher, dell'Università di Naropa, ipotizza invece un meccanismo differente:la causa non andrebbe rintracciata nell’anomala architettura neurale, quanto piuttosto in una mancata inibizione del segnale di ritorno.
Di norma l’informazione viene percepita dai sensi e procede verso le aree multisensoriali superiori del cervello dove viene processata. E’ un segnale di andata, diciamo, dalla periferia al centro.
Dopo di che il segnale ritorna alle appropriate aree senso-specifiche.
Secondo Grossenbacher nei sinestetici il segnale di ritorno non si dirige alle aree senso-specifiche appropriate, ma si “spalma” anche su aree non appropriate. Questa ipotesi giustificherebbe anche il fatto che le droghe allucinogene possono temporaneamente indurre sinestesia: è infatti molto più plausibile che il processo sia neurochimicamente alterato in qualche punto per poche ore dall’assunzione della sostanza e non che in quelle poche ore si siano potuti produrre nuovi collegamenti neurali!
E veniamo all'aura. Come qualcuno di voi saprà esistono delle persone che affermano di vedere le cosiddette aure energetiche, delle sfumature di colore attorno ai volti o ai corpi altrui.
In uno studio dell’University College di Londra è stato riportato il caso di una donna sinestetica che percepisce colori (come il viola o il blu) in risposta a persone che conosce o a parole che evocano emozioni. Le parole innescano un colore che si diffonde su tutto il suo campo visivo, mentre le persone le appaiono circondate da un “aura” colorata. Per esempio, “James” suscita il colore rosa, “Thomas” il nero e “Hannah” il blu. Invece le parole associate a emozioni positive tendono a produrre colori come rosa, arancio, giallo e verde, mentre quelle associate a emozioni negative innescano invece il marrone, il grigio e il nero.
Non sarà che le aure osservate (in buona fede) altro non sono che le “emozioni colorate” dell’osservatore?
Per approfondire | V.S. Ramachandran and E.M. Hubbard
Tratto da Psicocafé
2 commenti:
Sono l'autrice di PsicoCafé, il blog dal quale sono stati ripresi questo post e i due successivi. Prego l'autore di questo blog di linkare la fonte in maniera corretta, specificando il mio nome e cognome e il link al post originale o in alternativa di rimuovere il contenuto.
Grazie mille.
secondo me lo puoi pure denunciare se continua
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