mercoledì 27 febbraio 2008

Marco Massimiliano Lenzi : IL SEGRETO RICHIAMO: Figura, Funzione e Simulacro del Maestro Spirituale


Ed. Il Cerchio, Rimini 2003, pagg. 160, €. 14,00


Marco Massimiliano Lenzi colma con questo libro una lacuna nel campo degli studi sull’esoterismo e sulle dottrine spirituali in generale: mancava infatti finora uno studio in italiano che approfondisse il problema della relazione maestro/discepolo in ambito mistico-religioso. Anche in altre lingue non mi pare che l’argomento sia mai stato affrontato in senso generale, ma solo, nel caso, in riferimento a singole e circoscritte tradizioni spirituali o culture specifiche. L’unico titolo recente che mi viene in mente è Struggle of the Magicians: Exploring the Teacher-Student relationship (Arete Communications, 1996 Fairfax, California) noto anche col sottotitolo di Why Uspenskij Left Gurdjieff, di William Patrick Patterson, che si muove esclusivamente nell’ambito delle relazioni fra i due controversi mistagoghi in un contesto del tutto interno alla loro linea di pensiero, la cosiddetta Quarta Via.

Lenzi invece preferisce estendere il suo discorso tentando problematicamente di tracciare una sorta di teoria generale della trasmissione di una dottrina spirituale e dell’altrettanto problematico rapporto che intercorre fra chi trasmette e chi riceve insegnamenti di natura religiosa, spirituale, esoterica. La sua ricerca, apertamente debitrice nei riguardi dell’approccio comparativo tipico di quella fenomenologia delle religioni i cui maggiori esponenti sono Rudolf Otto, Gerardus van der Leeuw e soprattutto Mircea Eliade (ampiamente citati nel testo), spazia dalla tradizione indù e buddhista, al sufismo islamico, al taoismo, alla cabala e all’ebraismo, al neoplatonismo e alla spiritualità greca precristiana, al cristianesimo (includendovi senza esitazioni - cosa piuttosto rara in relazione a tematiche in cui si opti per l’uso dei termini rischiosamente abusati di esoterico/esoterismo/iniziatico - la grande letteratura della mistica speculativa, da Meister Eckhart ad Angelus Silesius, nonchè quella della Chiesa orientale legata all’esicasmo - il cosiddetto yoga cristiano - e alla Philokalia) fino allo sciamanismo e al neospiritualismo dei nuovi movimenti religiosi ed occultistici.

Il secondo riferimento importante di Lenzi nel voler separare il grano dal loglio - per usare l’immagine evangelica di Matteo - definendo la figura e la funzione di quella che chiama una autentica Guida e separandola dal suo simulacro, il Guru surrogato del settarismo carismatico e del new age magico-occultistico, è quello relativo alla linea di pensiero detta nel nostro paese tradizionalismo e, forse con più precisione, nei paesi anglosassoni perennialismo, cioè quel movimento religioso-filosofico che si rifà miticamente ad una Philosophia Perennis o Sophia primordiale che costituirebbe l’unità trascendente da cui tutte le singole rivelazioni religiose deriverebbero irraggiandosi. Gli esponenti più noti e, almeno per certi versi, più autorevoli del tradizionalismo sono René Guénon e Julius Evola e Lenzi si riferisce spesso ai due pensatori oltre che ad altri perennialisti come Coomaraswamy, Schuon, Burckhardt, ecc. ed utilizza sostanzialmente gli argomenti e la terminologia a loro care. E’ forse solo su questi aspetti che ci permettiamo di dissentire da certe conclusioni del suo interessante testo con qualche piccola osservazione non certo polemica ma bonariamente provocatoria, tanto per stimolare una civile discussione: ci pare soprattutto che una linea così netta e rigorosa fra legittimo e illegittimo, fra autentica Guida e Guru surrogato, fra tradizione con la T maiuscola e setta o culto deviante non sia sempre facile da tracciare e talvolta il forzare troppo questa dicotomia rischi di apparire una soluzione semplicistica e falsamente rassicurante (lo stesso Lenzi, bisogna dargliene assolutamente atto, lo riconosce in parte nell’ultimo capitolo del libro dimostrando grande modestia ed obbiettività). Anche l’esoterologo francese Antoine Faivre, per esempio, considera il “guenonismo” e l’”evolismo” alla stregua dei vari “ismi” afferenti alla grande nebulosa mistico-magico-esoterica (teosofismo, occultismo, spiritismo, ecc.) e non ci si dovrebbe scandalizzare troppo: sia Guènon che Evola parteciparono attivamente al sottobosco esoterico dei primi del secolo e ne recarono tracce ancora molto evidenti anche nelle loro opere tradizionaliste. A questo proposito ci viene in aiuto un capitolo di un’opera assai interessante di Joscelyn Godwin Arktos: The Polar Myth in Science, Symbolism and Nazi Survival, tradotta anche in italiano da Mediterranee: Godwin raffrontando il paradigma “mitico” della Dottrina Segreta - la monumentale opera principale di Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica - che vede l’avvicendarsi delle sette razze radici attraverso i milioni di anni del Manvantara dalla “Sacra Terra Imperitura” di Hiperborea, abitata dalla Prima Razza eterea, senza corpo fisico, immortale (come la razza immortale e non generante di Platone) alla progressiva discesa di Lemuria, di Atlantide, fino alla razza attuale la quinta, nota uno stretto collegamento con le concezioni di Guènon: quando questi parla ne Il Regno della quantità e i segni dei tempi di progressiva solidificazione del mondo e degli uomini, ammette implicitamente che i nostri antenati Iperborei (che anche lui come Madame Blavatsky pone in una sacra terra polare che chiama Tula o Thule) fossero immateriali (ecco perché non si troverebbero tracce archeologiche e paleontologiche del loro passaggio sulla terra). Le uniche differenze sostanziali fra queste concezioni sarebbero riguardo alla durata ed in questo la Blavatsky sarebbe più in linea con la tradizione indù autentica parlando di milioni di anni per il Manvantara a differenza invece delle migliaia di anni di Guènon. L’aborrita fondatrice della “pseudo-religione” teosofica non sarebbe dunque così lontana da colui che la stigmatizzava: entrambi condividevano le stesse concezioni mitologiche e cosmologiche unite ad un antievoluzionismo radicale che vede nell’uomo un angelo caduto e non una scimmia evoluta. Questo ovviamente è soltanto un esempio su cui non manca la documentazione ma molti altri se ne potrebbero fare. Un guru “legittimo”, Guénon, ed una guru “illegittima”, la Blavatsky, dunque svelerebbero inquietanti consonanze. Le implicazioni magico-occultistiche di Evola sono poi ancora più evidenti: autori come Crowley o Schwaller de Lubicz, Gurdjieff o Kremmerz, sono per lui veri per quanto problematici iniziati, per Guènon invece sono membri della contro-iniziazione da cui “guardarsi come dalla peste”. La presunta Sophia Perennis diventerebbe così nei molti aspetti contrastanti dei due maggiori paladini della “Tradizione” un paradigma variabile a secondo delle predilezioni del suo portavoce (elemento denotato da Lenzi come caratteristica tipica dei falsi guru delle sette neospiritualiste).

Anche dal punto di vista sociologico infine la struttura ultima dei cenacoli tradizionalisti non differisce in modo così radicale da quella di un gruppo carismatico, o, come si preferisce dire in termini dispregiativi, di un culto, di una setta. Mi rifaccio a Culti, un libro dello psichiatra Marc Galanter edito da Sugarco, per l’autore un gruppo carismatico, o setta, o culto, è caratterizzato dai seguenti elementi psicologici: un sistema comune di fede (per i tradizionalisti la Sophia Perennis); un alto livello di coesione sociale (per i tradizionalisti, in particolare gli evoliani, militanze comuni in partiti o movimenti della destra radicale); forte influenza delle norme comportamentali del gruppo (meno evidenti ma comunque rilevabili nei tic e negli atteggiamenti tipici dei tradizionalisti); potere carismatico attribuito al leader (l’ipse dixit del maestro: “come dice Evola”, “come dice Guénon”, ecc.).

Anche per questo non sembra opportuno creare spartiacque troppo rigorosi in un campo magmatico e difficilmente definibile che sfuma progressivamente e quasi senza soluzione di continuità – per usare termini cari ad Eliade – dalle ierofanie della religione alle cratofanie della magia.

Come classificare ad esempio i personaggi già citati prima, odiati da Guénon e tollerati o forse addirittura ammirati da Evola ? Dove posizionerebbe Lenzi ad esempio un personaggio come Gurdjieff che certo non corrisponde alla tipologia del maestro distruttivo delle sette ma che resta difficilmente inquadrabile da un punto di vista “tradizionale”? E dove Schwaller de Lubicz che, secondo Guénon, volendo “resuscitare” la tradizione dell’Antico Egitto non sarebbe che un pericoloso negromante, mentre per il tradizionalista e sufi Seyyed Hossein Nasr invece “l’ultimo grande esoterista”?

A questo proposito Lenzi cita più volte fra i maestri sufi Idries Shah, personaggio sulla cui ortodossia molti sufi avrebbero da ridire: Shah fu segretario per un certo periodo di Gerald Gardner fondatore della Wicca, la principale organizzazione della neostregoneria, ed il suo primo libro riguardava la magia araba, alla morte di Gurdjieff Shah tentò di presentarsi come successore del maestro caucasico ed ereditarne gli allievi ma fu cacciato a pedate o quasi dall’energica Madame de Salzmann, erede ed organizzatrice della Fondazione Gurdjieff. Nei suoi libri il Corano non viene citato mai, mai si fa riferimento a Maometto o alla tradizione islamica, si parla solo del Mullah Nasreddin, personaggio popolare turco-persiano famoso per le scenette e gli apologhi nonsense piuttosto simili a koan zen e spesso citato da Gurdjieff stesso. Idries Shah è un esempio evidente di contaminazione, un po’ figura (buona) un po’ simulacro (Cattivo) secondo la dicotomia del sottotitolo scelto da Lenzi: un autore certo brillante e che dissemina in molti suoi libri schegge di saggezza ma certo anche ben lontano dall’ortodossia sufi. Alla fine del suo tortuoso percorso, se andiamo ad analizzare il suo pedigree spirituale, ci apparirà ancora come una figura o piuttosto come un simulacro ?

Fonte - Airesis


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