martedì 5 febbraio 2008

Demonologia e prassi dell'esorcismo e delle preghiere di liberazione


don Pietro Cantoni

Lo studio di Don Piero Cantoni, partendo dalla dimostrazione dell’esi-stenza degli angeli (buoni e malvagi), approda specificamente alla ve-rifica dell’azione malefica del diavolo nella vita della persona e in mo-do più diffuso, alla possessione in senso stretto.

Introduzione

Nella nostra cultura occidentale, attenta soprattutto al profitto, all’uti¬le, finanche nelle cose che non si vedono né si toccano ma che si credono, spesso si è portati a negare praticamente l’esistenza degli Angeli, perché in fondo sono esseri che, seppur esistano, sembra non abbiano alcuna relazione con l’uomo. Li si concepisce come a-doratori di Dio, quindi come coloro che stanno al Suo cospetto ma che in definitiva hanno poca interazione con la persona che vive. In campo teologico, invece, a volte si tace l’esistenza del diavolo, in quanto il messaggio di Cristo può essere benissimo trasmesso sen-za un riferimento all’opera del diavolo nella storia della salvezza. Addirittura, con un colpo mancino, altre volte la si nega.
Lo studio di Don Piero Cantoni, partendo dalla dimostrazione dell’esi-stenza degli angeli (buoni e malvagi), approda specificamente alla ve-rifica dell’azione malefica del diavolo nella vita della persona e in mo-do più diffuso, alla possessione in senso stretto.
«Se è vero che la verità sul demonio e gli angeli malvagi non si trova al vertice della gerarchia delle verità – replica il Nostro –, non si può neppure affermare che si trovi in fondo…».
Il diavolo esiste ed agisce in modo “diplomatico”, cioè «attraverso mediazioni che sono quelle delle potenze corporee di cui si serve l’uomo per attuare la sua moralità (è tutto l’ambito morale fondamen-tale degli atti imperati e delle passioni)». La prudenza in ogni caso deve guidare colui che è chiamato a discernere tra la reale presenza diabolica e l’affezione di particolari patologie.
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1. Teologia degli Angeli e dei demóni

Si impone un punto di partenza teologico–speculativo per due ragioni.
Una di carattere generale: il legame teoria – prassi in campo teologico è troppo stretto perché si possa procedere semplicemen-te “dando per scontato” il presupposto teorico.
L’altra di valore più circostanziale riguarda la particolare situa-zione della demonologia (a cui è strettamente connessa l’Angelo¬logia) nell’attuale economia degli studi teologici. Molto semplice-mente: si tratta di argomenti che – per lo più – non sono trattati.


1.1 Gli Angeli: a che cosa servono?

Fino a qualche tempo fa si poteva parlare di una situazione di crisi della credenza negli Angeli. Oggi il panorama è assai cambiato.
I problemi per il credente (e, a maggior ragione, per il non cre-dente) sono due: ci sono? E, se ci sono, a che servono? Cioè: che cosa cambia nella mia vita se credo alla presenza degli Angeli? Io inizierei dal secondo dei quesiti. Siamo infatti abituati a impostare così i problemi da una certa mentalità. Ci interessa ciò che serve. Giudicare tutto dal punto di vista dell’utile. E dell’utile immediato.
Incomincio di qui, ma proprio per contestare questo punto di partenza. Con i problemi della fede (e non solo con quelli…) dob-biamo rovesciare il discorso. Non ci credo perché serve, ma cer-tamente serve perché ci debbo credere. Dio non rivela cose inutili. In effetti il mistero di Dio e della sua provvidenza appare in ben al-tra prospettiva se lo vedo circondato dalle schiere degli Angeli a-doratori e messaggeri. Così come il mistero del male acquisisce spessore e profondità nuove se ammetto che la sua «centrale» si situa in una dimensione «altra» rispetto a quella soltanto umana.


1.2. Esistono?

Ma ci debbo veramente credere? Cioè Dio lo ha veramente ri-velato? Prima di affrontare direttamente il problema dal punto di vista della Rivelazione, poniamoci un problema: è l’unica fonte?




a) Indizi

1. La prima cultura che ha ignorato o respinto il mondo Angelico è quella del razionalismo europeo del XVIII secolo. La credenza in esseri intermedi è universale, nel tempo e nello spazio.
2. Questo interesse non abbandona neppure l’Occidente illumi-nista e post–illuminista. «Ernst Bloch ha distinto nella storia del marxismo una “corrente fredda” che sottolinea il materialismo e il razionalismo, e una “corrente calda” che insiste sul novum radicale dell’utopia rivoluzionaria. Un’analoga distinzione sembra presente nella storia della spiritualità massonica, dove coesistono una “cor-rente fredda” razionalista e scettica, con una gamma di variazioni che va dal deismo illuministico all’ateismo, e una “corrente calda” irrazionalistica e interessata a tutti i tipi di occultismo» .
3. Anche l’interesse per gli UFO testimonia di una nostalgia de-gli Angeli. Ma c’è un argomento più serio. La completezza dell’uni-verso. Nell’universo c’è una componente materiale e una compo-nente materiale–spirituale, che è l’uomo. Posto che il mondo crea-to da Dio, manifesta nel suo insieme una grande armonia e che componente dell’armonia è la corrispondenza delle parti e la com-pletezza dell’insieme, tutto lascia supporre che debba esistere an-che una componente puramente spirituale. Non sarà forse Dio stesso, secondo lo schema: mondo materiale – mondo materiale–spirituale (uomo) – Dio. No, perché Dio è fuori serie! Deve quindi esistere un mondo solo spirituale come componente della realtà complessiva del l’universo creato. Questo argomento, che è “solo” di convenienza , mette in risalto il ruolo dell’Angelologia come ba-stione della trascendenza di Dio nell’ambito della teologia globale . Dio non è riducibile alla componente spirituale del cosmo, perché ne è il principio trascendente, che contiene in sé – in modo virtuale ed eminente – tutte le sue componenti. In Dio non c’è materia, ma vi deve essere l’idea della materia e l’idea archetipa . L’assenza della consapevolezza di un mondo di spiriti finiti finisce per indurre ad una visione onto–teologica di Dio e viceversa. Non dimenti-chiamo che la prima negazione riflessa del mondo Angelico è dell’Illuminismo, solidale con la sua visuale razionalistica e “deisti-ca” di Dio. Gli Angeli trovano invece un indiscusso spazio in una visione che riconosca all’apofatismo il suo indispensabile ruolo teologico.


b) Prove

La Bibbia. Molti teologi ed esegeti dicono che il suo linguaggio a proposito di Angeli e demóni fa parte di quel rivestimento cultura-le che noi, appartenenti ad una cultura diversa e più evoluta, dob-biamo lasciar cadere. Ma quali gli argomenti?
«Chi accetta Dio non si vede quale razionale difficoltà “a priori” possa avere ad accettare la risurrezione di Cristo o la maternità verginale di Maria o la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Non ho mai capito l’allergia “a priori”, che si riscontra in molti teologi, ad ammettere gli Angeli, se non identificandola come una “zona di in-credulità” sussistente per incoerenza in una mentalità che dovreb-be essere tutta permeata dalla fede. Una volta appurata nella fede l’esistenza del mondo invisibile, “a priori” non ho obiezioni da op-porre non solo agli Angeli, ma nemmeno agli arcangeli, ai cherubi-ni, ai serafini a chi sa quali altre creature siano state pensate e vo-lute dalla divina fantasia.
O l’universo è vuoto, e allora si capisce che sia sordo e muto; o c’è la possibilità che sia popolato, e allora mi aspetto che ci siano molti esseri in grado di porsi in ascolto delle nostre voci e in grado di farci arrivare la loro.
Il credente è uno che si attende molte sorprese. Una volta co-nosciuta l’esistenza di un Dio che è fantasioso e onnipotente, cioè “capace di tutto”, la ragionevolezza sta nell’aspettarsi che la divina immaginazione a poco a poco si manifesti, oltrepassando sempre ogni previsione e stupendo sempre la nostra connaturale propen-sione per ciò che è consueto, prevedibile, convenzionale.
L’uomo nativamente “religioso”, “a priori” non esclude niente. Sa che, se è arduo dimostrare l’esistenza di qualche cosa, è anco-ra più arduo dimostrarne apoditticamente l’inesistenza.
L’uomo “areligioso” è quello che possiede la più arrischiata e ir-ragionevole delle certezze: la certezza di ciò che non c’è. È una cer-tezza che conviene solo a Dio: solo colui che è onnisciente può e-lencare le cose che non ci sono. Sicché paradossalmente potrem-mo dire che l’uomo areligioso possiede la più arbitraria e ingiustifi-cata delle fedi. E, ancora paradossalmente, soltanto da una divina rivelazione potrei avere la notizia indubitabile che oltre la zona ac-cessibile alla mia conoscenza naturale non ci sia niente» .
La Bibbia ne parla. Certamente la Bibbia ha bisogno di una in-terpretazione. Leggere la Bibbia «alla lettera», fidandosi di un sen-so che sarebbe sempre ovvio e immediato, è un’illusione. Non è neppure la lettura antica o tradizionale, ma qualcosa di moderno e di legato anch’esso – come la lettura razionalista – all’Illuminismo. Il «fondamentalismo» come corrente all’interno del Protestantesi-mo è nato con John Nelson Darby (1800–1882), mentre il nome risale all’inizio di questo secolo.
Quando per esempio leggiamo: «il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7), dobbiamo far inter-venire una pre–comprensione metafisica di Dio, per cui, escluden-do da Dio tutto ciò che è corporeo, leggiamo le espressioni che lo fanno come un vasaio che plasma il suo manufatto alla stregua di espressioni simboliche. Per scoprire subito che esse non cessano di essere profonde. L’uomo ha due componenti: una terrestre, che viene dalla materia informe (fango) e una celeste, che viene diret-tamente da Dio (soffio) e che ha una analogia con quel «soffio» divino che appare già nell’AT come una realtà personificata in Dio. Soffio è indizio di vita e di movimento. Soffio, vento è la realtà ma-teriale più… immateriale. Più «spirituale».
A volte per rendersi pienamente conto del significato esclusiva-mente simbolico di una data rappresentazione c’è voluto un certo iti-nerario di indagine scientifica, come l’affermarsi della teoria Coperni-cana (pure molto antica) su quella Tolemaica. Ciò non toglie che il senso simbolico fosse già presente e spessissimo anche l’intuizione della precarietà della visione scientifica corrente (per esempio in san Tommaso d’Aquino proprio a proposito del moto dei cieli).
Qualcuno ha voluto coinvolgere Angeli e demoni nell’ambito precario di una immagine del mondo destinata ad essere coinvolta nell’aggiornamento scientifico, per cui la loro funzione sarebbe or-mai solo simbolica e anche questa da rivedere con il mutare della sensibilità dell’uomo moderno. Ecco per esempio la posizione di un campione del razionalismo biblico dell’Ottocento, David Frie-drich Strauß (1808–1874): a noi «mediante la concezione coperni-cana è stato tolto il luogo in cui l’antichità giudaica e cristiana pen-sava posto il trono di Dio» . Non c’è più posto per il trono di Dio e nemmeno per i suoi Angeli.
Il problema è
• che non c’è nessuna ragione metafisica per interpretare l’Angelo (buono o cattivo) come un simbolo, la metafora di qualco-sa. Mentre Dio non può avere un corpo e quindi sedere su un tro-no, può benissimo aver creato dei puri spiriti ed esserne «circon-dato», cioè essere oggetto della loro adorazione amante, costruire con loro una famiglia di amore e servirsi della loro opera per guida-re le sorti del mondo.
• Che non c’è neppure nessuna ragione scientifica per operare questa de–mitologizzazione. La scienza non può certamente pro-vare che gli Angeli esistono, ma non può neppure dimostrare che non ci sono…
• Che se si esamina con un po’ di attenzione tutto il quadro del-la rivelazione biblica ci si accorge che il dramma della storia della salvezza conosce anche questi personaggi. Se non sono i prota-gonisti, non sono neppure delle comparse. Nella prima lettera di san Giovanni troviamo questa affermazione sulla finalità di tutta l’azione redentiva del Verbo Incarnato: «il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo» (1Gv 3,8).
• Se poi andiamo a riesaminare la posizione dei demitologizzanti ad oltranza ci accorgiamo facilmente di un fatto paradossale: dietro l’immagine innocente di un mero problema di metodo e di adattamen-to ai progressi della scienza e del costume, ci sono delle posizioni te-oriche antitetiche alla fede: per esempio il manicheismo e la gnosi.
Davanti a testi che ci parlano di Angeli e demóni occorrono dunque dei criteri. Non possiamo muoverci in essi arbitrariamente.
Il criterio, lo abbiamo già visto non può essere quello fonda-mentalista. Esso annulla il problema eliminando (o occultando) l’al-terità della forma.
Il racconto richiede di essere decodificato.
In base a quale chiave di comprensione?
È nota l’infelice espressione di Bultmann: «Non ci si può servire del-la luce elettrica e della radio, o far ricorso in caso di malattia ai moderni ritrovati medici e clinici, e nello stesso tempo credere nel mondo degli spiriti e dei miracoli propostoci dal Nuovo Testamento» .
Qui il criterio è la concezione del mondo dell’uomo moderno, frutto del progresso scientifico tecnico.
A Bultmann fa eco H. Haag: «Tutto quanto si afferma su Satana nel Nuovo Testamento non appartiene al messaggio vincolante della Rivelazione, ma solo a quell’immagine del mondo caratteristica degli scrittori biblici ossia della mentalità della loro epoca» . «Questa con-cezione non è più compatibile con l’immagine che oggi ci facciamo del mondo e perciò abbiamo il diritto di non accettarla» .
Qui andrebbe osservato subito che la «concezione dell’uomo moderno» è in continua evoluzione. Bultmann sarebbe sorpreso nel vedere quanti uomini del nostro tempo accendono tranquilla-mente la luce elettrica, si siedono davanti al televisore e, nello stesso tempo, frequentano l’astrologo e credono ai folletti e alle fa-te… Ma a lui va concessa una attenuante: la sua conferenza è del 1941. Ben altra responsabilità hanno coloro che continuano a propagandare oggi la favola dell’uomo moderno.
Ma, al di là di considerazioni circostanziali, resta il rilievo di fon-do: è possibile elevare la concezione del mondo dell’uomo moder-no a criterio ermeneutico decisivo del testo biblico e dei documenti della fede? Certamente la scienza rientra fra i momenti regolativi nell’interpretazione di questi documenti, ma non potrà mai costitui-re l’ultima istanza.
È interessante vedere come Pannenberg – che pure vuole porsi nella linea della demitologizzazione più conseguente – sottopone oggi a critica l’argomentazione classica della scuola liberale per sbarazzarsi di Angeli e demóni:
«David Friedrich Strauß ha parlato, proprio a proposito della “attività mondana degli Angeli” di una “contraddizione della conce-zione moderna della natura”, perché considera questi fenomeni naturali, come lampo e tuono, terremoto, pestilenza, ecc.” non co-me “speciali manifestazioni di Dio”, ma li riconduce a “cause che si situano all’interno del contesto naturale”. Ora questa obiezione colpisce non solo l’operare degli Angeli ma anche il particolare agi-re di Dio negli avvenimenti della natura e presuppone una conce-zione del contesto naturale come un sistema chiuso (in corrispon-denza all’immagine meccanicistica del mondo) e vede nelle affer-mazioni teologiche sull’agire di Dio o degli Angeli negli accadimenti del mondo, in ogni caso nei singoli eventi della natura, spiegazioni di procedimenti naturali che fanno concorrenza con le descrizioni scientifiche e i fattori da loro addotti» .


1.3. Chi sono?

Si tratta di esseri personali e spirituali. Intrattengono una certa somiglianza col platonico mondo delle idee. Sono come gli arche-tipi e i prototipi personali di tutto ciò che esiste. Con san Tommaso d’Aquino si afferma la concezione che gli Angeli non differiscono tra loro “numericamente” ma come specie da specie. Ogni Angelo è un’idea. Fra Angelo e Angelo c’è, di per sé, una ben più grande distanza che fra uomo e uomo, più grande che fra razza e razza.


1.4. Che fanno?

Angelo: messaggero, inviato. Mal’ak – mal’achim dalla radice semi-tica l’k = mandare, che i LXX e il NT rendono con ánghelos – ángheloi.

La vita e il destino è in comunione. Uno può pensare: che biso-gno c’è di tutta questa moltitudine di esseri intermedi? In fondo io posso vedermela direttamente con Dio. Perché dunque Dio non mi ha fatto da solo? E perché ho bisogno dell’altro? Questo certa-mente obbedisce alla logica dell’amore personale. È il riflesso nell’uomo – solo dell’uomo è detto che è immagine e somiglianza di Dio – della Trinità e della infinita perfezione di Dio. Collegamen-to, influsso, dramma, comunione fraterna. All’uomo si può togliere tutto, ma c’è una cosa di cui ha supremamente bisogno: dell’altro. La Scrittura dice: «guai ai soli!». E l’eremita? E colui che ha trovato altra compagnia. La compagnia di Dio (che è un’eterna compa-gnia) e, appunto, degli Angeli. I valori materiali se con–divisi (la torta...) diminuiscono, quelli spirituali aumentano! L’uomo desidera ardentemente comunicarli. Si ama comunicare le belle notizie.

Esiste un legame riconosciuto tra Angeli e liturgia . I veri valori stanno al cospetto di Dio da cui segue con logica stringente il pri-mato della contemplazione. Torniamo qui, in certo qual modo al punto di partenza: a che cosa serve? Serve a questo. E questo? A quest’altro. Serve, serve, serve. Ma non si può andare all’infinito. Bisogna arrivare ad un punto in cui si incontra qualcosa (o Qual-cuno) che non serve a niente. Non perché è inutile, ma proprio per il motivo contrario, perché è il termine di ogni utile, cioè è il Fine supremo. E chi si occupa direttamente di questo Fine supremo, chi fissa il suo sguardo in quel Volto, ed è sempre occupato a questo, è colui che ha trovato nel suo agire la massima intensità di senso possibile. E, per gli Angeli non esiste quella tensione spesso dila-cerante che è tipica della condizione umana: azione o contempla-zione? Per occuparsi degli uomini non devono distogliere lo sguardo dal Volto, anzi, da quello sguardo traggono tutta la loro energia e la loro luce. Il mio direttore spirituale (potremmo dire il mio guru). Un direttore sapiente e prudente. C’è un famoso detto anglosassone denso di saggezza pedagogica: «Per insegnare il latino a John bisogna conoscere il latino, ma soprattutto bisogna conoscere John...». E chi può meglio conoscermi del mio «Moi cé-leste» ? Fra l’uomo e il suo Angelo c’è una profonda simpatia, una simpatia “metafisica”, radicata in Dio e nella creazione. Una tale simpatia, che i suoi sussurri sono impercettibili e possono fa-cilmente essere scambiati per i nostri stessi pensieri... Una guida che vive innanzitutto quello che suggerisce. Come una guida di montagna esperta, che conosce le cime come le sue tasche. Lui conosce le cime, perché è sempre al cospetto di Dio, e il suo volto sorridente (l’Angelo di Chartres!) fissa lo sguardo nel Volto di Dio.


1.5. Gli angeli malvagi

La negazione del demonio e della sua azione nella teologia contemporanea

Come si è arrivati a negare l’esistenza del demonio?
Partiamo dalla data che, almeno nella Chiesa cattolica, ha rap-presentato il punto di partenza emblematico della crisi. La data è il 1969 con la pubblicazione di un libretto da parte di un esegeta te-desco – esperto di Antico Testamento – Herbert Haag. Molto noto, autore anche di un importante dizionario biblico. Il libretto è intitola-to Abschied vom Teufel, cioè «Commiato dal diavolo», tradotto subito l’anno successivo in italiano dalle edizioni Queriniana di Brescia. Un dettaglio significativo: alla traduzione è stato aggiunto un punto interrogativo nel titolo, per cui diventa «Liquidazione del diavolo?», anche se nella versione tedesca originale questo punto interrogativo non c’è. In Italia certe frasi forti mettono un po’ più di scrupoli… ma la sostanza è la stessa.
La tesi di Haag è semplice: il demonio non esiste, è soltanto un simbolo, il simbolo della malvagità nel mondo. Quali gli argomenti? Si riassumono tutti in questa frase: «Tutto quanto si afferma su Sa-tana nel Nuovo Testamento non appartiene al messaggio vinco-lante della Rivelazione, ma solo a quell’immagine del mondo carat-teristica degli scrittori biblici ossia della mentalità della loro epo-ca» . Questa concezione non è più compatibile con l’immagine che oggi ci facciamo del mondo e perciò non possiamo più accet-tarla.
Questa credenza in un mondo di spiriti intermediari fra Dio e l’uomo – Angeli e demoni, spiriti buoni e spiriti cattivi – fa parte di quella concezione del mondo che noi oggi, alla luce del progresso scientifico e tecnico, non siamo più autorizzati ad ammettere. Per «concezione del mondo» qui si intende in modo indifferenziato non soltanto un certo modo di interpretare scientificamente i fenomeni della natura, ma anche un determinato modo di concepire Dio, l’al di là e i suoi rapporti con l’al di qua. Questa concezione del mondo era condivisa da tutti a quell’epoca e Haag non ha difficoltà ad ammettere che era condivisa anche da Gesù e da tutti i personag-gi del Nuovo Testamento. Ci rendiamo conto, già da questo punto di vista, come l’impostazione sia molto debole, perché in fondo, una impostazione di questo genere fa assurgere il modo con cui l’uomo interpreta scientificamente il mondo, con tutta la sua intrin-seca incertezza e mutevolezza, a criterio ultimo di giudizio per l’in-terpretazione dei contenuti della fede. Le idee dell’uomo cambiano spesso… Oggi per esempio assistiamo a una netta inversione di tendenza, per cui, con gli stessi criteri dovremmo prepararci ad ammettere nella teologia le cose più favolose e incredibili.
Il personaggio più significativo, ed il primo – per quanto abbia potuto indagare io – che ha ragionato così è David Friedrich Strauß (1808–1874), noto soprattutto per i suoi studi sul Vangelo e sulla vita di Gesù, il quale afferma praticamente le stesse cose, di-ce: «mediante la concezione copernicana è stato tolto il luogo in cui l’antichità giudaica e cristiana pensava posto il trono di Dio» , per cui tolto il trono, bisogna togliere anche la corte, e non abbia-mo più motivo di credere ad Angeli e demoni. Una cosa va però sottolineata: questa posizione non è mai stata una posizione di maggioranza anche nell’ambito della teologia protestante liberale. La posizione più frequente è quella che si trova incarnata in un al-tro teologo importante, Friedrich Schleiermacher (1768–1834): una posizione agnostica o di disinteresse. Gli Angeli (e i demóni) si possono lasciare alla pietà popolare, ma il teologo che si rispetti non li deve prendere in considerazione. Karl Barth (1886–1968) critica questa impostazione chiamandola «l’Angelologia dell’alzata di spalle» . Che ci possano essere Angeli non è ragionevole ne-garlo, perché è una possibilità che certo non possiamo mettere in discussione, però il teologo se ne deve disinteressare, perché è un argomento indegno della sua considerazione; d’altra parte che ci siano gli Angeli o che non ci siano, non cambia assolutamente nul-la della vita cristiana, per cui lasciamo pure che la gente ci creda, lasciamo che l’Angelologia e la demonologia siano ancora presun-ti, per esempio, nella liturgia e nella preghiera dei cristiani, però il teologo deve guardarsi bene dall’occuparsi di queste cose. Questa è una linea che ha avuto un certo seguito. Diciamo pure che ha in-fluenzato parecchio anche la teologia cattolica. Molto spesso infatti più che una aperta negazione, si è diffusa una impostazione di questo genere: un’atteggiamento che si riassume plasticamente nell’espressione usata da Barth: gli Angeli? Una «spalluccia»… Se proprio dobbiamo parlarne, sbrighiamo la cosa alla svelta così passiamo a cose più serie.
Soffermiamoci un momento sulla teologia cattolica. Qui una presa di posizione di Karl Rahner ha influenzato pesantemente negli anni passati più ancora che il contenuto della demonologia l’affettato disinteresse che l’ha colpita. «Non c’è alcun motivo, oggi – scrive Rahner –, per collocare la dottrina del d. [demonio], com-presa nell’annuncio, al primo piano della ‘gerarchia delle verità’, come in parte avvenne in tempi passati (ancora in Lutero, per e-sempio). Non perché non esista una enunciazione di fede, di valo-re permanente, sul d., ma perché quello che essa dice per il con-creto compimento dell’esistenza cristiana, può essere detto, nel suo contenuto determinante, anche senza una tale dottrina esplici-ta sul d., o, quanto meno, l’accesso a questa dottrina è relativa-mente difficile per l’uomo d’oggi. Il discorso riguardante il d. non si trova infatti nelle grandi professioni di fede».
Qui si può e – a mio avviso – si deve contestare che il messag-gio di Cristo possa essere esistenzialmente trasmesso senza un riferimento all’opera del diavolo nella storia della salvezza e nella vita concreta del singolo. Se è vero che la verità sul demónio e gli angeli malvagi non si trova al vertice della gerarchia delle verità, non si può neppure affermare che si trovi in fondo… Certamente il demónio non c’è né nel credo apostolico, né in quello niceno co-stantinopolitano. Lo troviamo però nel Padre Nostro. È infatti quan-to meno assai probabile che la domanda rysai hemas apò tou po-nerou debba essere correttamente tradotta liberaci dal Maligno . È comunque presente con assoluta certezza nella professione di fede del concilio Lateranense IV, come vedremo più avanti.
Per tornare ad Haag: non possiamo leggere la Scrittura parten-do da questo presupposto così fragile: la mentalità o la visione del mondo dell’uomo moderno, non è certamente questo il modo cor-retto di impostare il discorso. Qual’è il criterio determinante per fa-re discernimento, per distinguere nella Scrittura quello che è sol-tanto un dato culturale, secondario e caduco, e quello che è invece l’elemento determinante dal punto di vista della fede? Non può es-sere che l’insegnamento della Chiesa, il suo magistero. Il Magiste-ro si è pronunciato in molti modi, tra l’altro proprio a proposito del libro di Haag. Nel ‘72 Paolo VI ha parlato dell’esistenza del demo-nio come essere personale, della sua azione, del suo influsso. È uscito anche un documento che vi invito a leggere e a rileggere, pubblicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1975, intitolato Fede cristiana e demonologia, dove viene affronta-to in modo teologico, dottrinale, il tema della demonologia .
Riguardo all’esistenza degli Angeli e dei demoni il testo magiste-riale più importante è costituito certamente dal capitolo Firmiter della professione di fede del Concilio Lateranense IV (1215 – papa Inno-cenzo III): «Crediamo fermamente e confessiamo apertamente che uno solo è il vero Dio. […] Con la sua forza onnipotente fin dal prin-cipio del tempo creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature: quello spirituale e quello materiale, cioè gli Angeli e il mondo terrestre, e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo. Il diavolo, infatti, e gli altri demoni da Dio sono stati creati buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi. L’uomo poi ha peccato per suggestione del demonio» (DS 800).
Questo testo conciliare così chiaro, è stato esaminato da qualche teologo e ne è stata messa in dubbio la portata di definizione dogma-tica. L’argomento è più o meno questo: tutte le volte che la Chiesa definisce una verità, dobbiamo vedere quale è la sua intenzione e quale è l’errore che la Chiesa vuole scartare. Ora noi sappiamo che il Concilio Lateranense IV aveva in mente l’errore del manicheismo. Secondo il manicheismo il mondo è la creazione di un dio cattivo, quindi il male ha una sua consistenza ontologica. Ora qui la Chiesa ha voluto dire, semplicemente, che questo non è vero, ha voluto dire che la creazione è buona, ma non ha voluto dire che veramente Dio ha creato gli Angeli e che alcuni di essi sono poi diventati cattivi.
Questa è l’obiezione che è stata fatta a questo testo del Magi-stero.
Qui bisogna rispondere in questo modo.
Non tutti i testi del Magistero sono testi condannatori, quello che abbiamo detto qui va bene quando ci troviamo davanti ad una condanna e, quindi effettivamente, per capire la portata della con-danna dobbiamo partire da quell’errore che è condannato ed evin-cere da lì, e solo da lì, la portata effettiva di quello che la Chiesa voleva dire.
Qui, invece, il genere di cose è diverso, ci troviamo davanti ad una professione di fede, la Chiesa semplicemente fa professione di quello che crede; davanti ad una professione di fede, tutto quel-lo che qui viene esplicitamente detto fa parte del patrimonio di fede della Chiesa. In più c’è anche un legame profondo tra le cose: non è un caso che questa affermazione della Chiesa salti fuori in corrispondenza dell’errore manicheo. Facciamo qualche passo in-dietro.
Il problema del male accompagna l’uomo da che esiste. Ogni ri-flessione religiosa o filosofica è sempre in fondo stimolata da que-sto problema: da dove viene il male?
Anche nel racconto (o nei racconti) della creazione che apre il libro del Genesi l’interesse principale è quello di dare una risposta a questo quesito. Il testo ci dice che in principio Dio ha creato il cielo e la terra, poi descrive tutte le varie realtà che Dio ha creato e quasi a mo’ di ritornello ripete: «E Dio vide che ciò era buono». Se contate tutte le volte che questo è detto, vedete che corrisponde al numero sette, perché la Scrittura usa un linguaggio anche simboli-co: il numero sette è un numero di perfezione, per sette volte viene detto «ciò è buono».
Poi dopo – solo dopo – si parla del peccato. Nel capitolo terzo fa capolino il male, ma il male fa capolino nel modo e sotto la for-ma di deviazione della libertà di uno spirito finito. Anche dalla for-ma letteraria di questi racconti, noi vediamo che l’autore sacro è quasi in polemica nei confronti di altre visioni dell’uomo che circo-lavano nell’ambiente, visioni in cui il problema del male veniva ri-solto in fondo in questo modo: nella natura delle cose c’è il bene e c’è il male. Il male fa parte integrante della natura delle cose. Le cosmologie dei popoli circostanti Israele interpretavano l’origine del mondo e del cosmo come una composizione fra elementi di-versi tra cui c’è anche un elemento cattivo. Perché c’è il male? Perché fra le varie nature che ci sono, fra le varie cose che ci so-no, c’è anche il male, quindi il male c’è strutturalmente. Il mani-cheismo non farà altro che portare alle estreme conseguenze que-sto concetto. Questo tipo di spiegazione prenderà altre forme, af-fermando, come addirittura succede nella speculazione della Ca-bala ebraica, che il male è una qualità di Dio, o come avviene nell’idealismo di Hegel, che il negativo entra dentro la costituzione dell’assoluto, che l’assoluto ha bisogno del negativo per essere quello che è. Allora il male diventa qualche cosa di costitutivo nella natura delle cose e addirittura nella natura stessa di Dio.
No! Sembra dire il testo sacro. Il male non è nella natura delle cose, ma è entrato nel mondo solo con un atto di libertà. Con il peccato dei progenitori. Il male non è né in Dio, né nelle cose, ma il male è saltato fuori perché Dio ha creato degli esseri liberi, i quali hanno usato male questa loro libertà. Non solo, la Scrittura subito ci fa notare una cosa: cioè che l’uomo non è stato l’inventore del male, lo ha fatto con tutta la sua responsabilità, ma in qualche mo-do lo ha trovato, perché qualcuno glielo ha suggerito, e qui abbia-mo quel personaggio misterioso che è il serpente, di cui non si di-ce inizialmente chi veramente sia.
Nell’Antico Testamento infatti del demonio si parla molto poco.
Abbiamo pochi passi in cui si parla di lui. In fondo questo ser-pente, viene interpretato come tale nell’Antico Testamento soltanto nel tardivo libro della Sapienza, dove si dice che la morte è entrata nel mondo a causa dell’invidia del diavolo (cf. Sap 2,24), quindi si interpreta l’evento che ha per protagonista il serpente, come ope-rato dal diavolo, si dice appunto che il serpente è il diavolo.
Nel libro di Giobbe si dice che il demonio è uno degli Angeli che sono presenti alla corte di Dio e da tutto il racconto si evince che il demonio fa comunque e sempre solo quello che Dio gli permette di fare.
Ecco che quadro nasce da questa spiegazione biblica: il male non è una cosa, non è una virtù, ma è strutturalmente privazione. Dire che il male è privazione non vuol dire che non sia niente. Dire che il male non esiste può sembrare una ingiusta banalizzazione del male e il male non va mai banalizzato; però si può dire che il male è sempre una mancanza di perfezione, il male è carenza di ciò che si dovrebbe avere e fare secondo la propria natura, e la causa ultima del male si radica nell’uso cattivo, deviato di una li-bertà.
La Scrittura ci dice anche che non tutto il male che c’è è fatto dall’uomo, anzi, originariamente l’uomo ha sì fatto il male, ma lo ha fatto per una suggestione che veniva da lontano. Se noi leggiamo attentamente il racconto del Genesi, ci rendiamo conto che non autorizza nessuna deresponsabilizzazione, perché non dice che, dato che Adamo ed Eva sono stati tentati dal diavolo non erano responsabili… Si dice solo che la suggestione era molto forte e che c’è stata e c’è ancora una presenza del male che in qualche modo precede l’attività dell’uomo. Il male, potremmo dire, ha una sua dimensione metastorica che è appunto questa presenza degli spiriti cattivi che sono diventati tali per una deviazione della loro volontà. La cosa è allusa, per così dire, nella Scrittura sia per quel-lo che riguarda la creazione degli Angeli, sia per quello che riguar-da la loro caduta. Nella Scrittura non abbiamo delle affermazioni così aperte o perlomeno così importanti come quelle riguardanti la creazione del mondo e dell’uomo, però troviamo delle allusioni che sono sufficientemente chiare. Nella seconda lettera di san Pietro (2Pt 2,4), nella lettera di san Giuda (Gd 6), troviamo dei passi ab-bastanza espliciti per quello che riguarda la caduta, mentre san Paolo, parlando di principati e potenze, dice che sono creature (Rm 8,38).
Che succede quando si nega l’esistenza del demonio dicendo che è il simbolo del male? Si finisce fatalmente per fare di questo male un qualcosa che ha una sua consistenza, cioè per ricadere nel manicheismo, proprio in quelle concezioni che la parola di Dio voleva confutare rivelando l’esistenza di spiriti celesti decaduti. Questo esito fatale lo troviamo per esempio in quei teologi prote-stanti che affermano che i demóni sono «strutture mentali». Che cosa significa? O che il male ha una sua consistenza oggettiva, oppure che il demonio è una inclinazione cattiva che è nel cuore dell’uomo. Una teoria molto antica che troviamo anche nel Talmud. Ma il problema è solo spostato: se nel cuore dell’uomo c’è, fin dal-la nascita, una inclinazione cattiva allora questa inclinazione viene da Dio.
Molti di questi teologi affermano che «Gesù come tutti gli uomi-ni del suo tempo condivideva la concezione dell’esistenza di de-moni, Angeli, ecc.». È una affermazione profondamente inesatta, perché anche al tempo di Gesù c’erano già delle correnti che ne-gavano l’esistenza del diavolo e degli Angeli: i Sadducei infatti ne-gavano l’esistenza degli Angeli (cf. At 23,8). È invece chiaro dai Vangeli che il Signore molto spesso contraddice apertamente le convinzioni diffuse nel suo tempo, mostrando la sua piena indi-pendenza.
La ricerca più avveduta ha riscontrato che l’Apocalittica più che un “genere letterario” costituisce piuttosto una corrente teologica. L’essenziale dell’apocalittica non sarebbe quindi da ricercarsi in una questione di metodo, ma a livello di contenuti. Ora il contenuto centrale della teologia apocalittica è proprio il problema del male, dove il demonio non rappresenta più una cifra simbolica, ma pro-prio la sostanza della soluzione: il male non è un “qualcosa”, ma è in radice il frutto dell’uso sbagliato della libertà, quindi ha un fon-damento personale. La lotta contro il male è dunque sì drammati-ca, ma, avendo per oggetto non incoercibili leggi della natura, ma potenze personali, può essere vinta e le foze del male depotenzia-te. Ecco tutta l’ambiguità e il paradosso dell’apocalittica: messag-gio insieme di estrema drammaticità e di sfolgorante speranza.
«La figura del diavolo nei suoi molteplici aspetti non è frutto del-la fantasia […]. Il diavolo non rappresenta affatto il trionfo dell’estetica sulla logica, ma condensa su di sé esigenze raziona-lissime del pensiero umano di fronte al problema del male. Il diavo-lo è quella x che risolve una complessa equazione di non so quale grado, dove si tiene conto di molteplici fattori non facilmente fra lo-ro conciliabili, quali l’esistenza di un Dio giusto, della libertà dell’uomo che si fa tale davanti ad una scelta fra bene e male, nel-la quale uno dei due termini, la Luce, viene fatto risalire a Dio, mentre l’altro, la Tenebra è impossibile riportarcelo, almeno diret-tamente. Nella figura del diavolo c’è anche l’intuizione del male come forza organizzata, in quanto ha uno scopo di distruzione che non colpisce soltanto questo o quello, ma è rivolta contro tutto e contro tutti e quindi non può essere opera di un semplice spirito maligno. Il diavolo è una forza che l’uomo avverte al tempo stesso come a lui esterna ed a lui interiore. Il diavolo del giudaismo non “è quella parte del tutto chiamata Tenebra” di Goethe, né la morte che va al suo posto come gli antichi miti cananaici; il diavolo spie-ga che il male c’è ed è sempre, per così dire, fuori posto, perché è quella forza che si oppone all’ordine e non si può, in nessun modo, farlo rientrare in nessuna rassicurante struttura dell’essere» .
Perché questa attenzione alla negazione dell’esistenza del de-monio? Perché sono convinto che ha portato molta confusione. Ha distolto infatti la teologia e la catechesi da una riflessione attenta sul tema, favorendo così una situazione di vuoto. Ma il pensiero dell’uomo, come la natura, fugge il vuoto, così che lo spazio lascia-to libero si è riempito in modo disordinato. Si è trascurato di colti-vare un angolo del giardino, non ci si deve meravigliare che si sia riempito di erbacce…


2. Il problema della possessione diabolica e dell’azione de-moniaca in generale

Riguardo all’azione che le forze demoniache esercitano nella vi-ta dell’uomo dobbiamo stare attenti ad una polarizzazione ecces-siva, esagerata, sul tema della possessione.
Il peccato Angelico ha avuto un influsso non solo sul mondo “umano”, ma su tutto il creato nel suo insieme. Tutto giace nelle doglie del parto a causa del peccato. La morte non faceva parte del primitivo piano di Dio e quindi neppure la malattia. Il disordine portato dal peccato è la causa delle malattie. Ciò non significa che ogni malattia sia causata dal peccato personale di chi ne è affetto: la Scrittura ci invita piuttosto a pensare il contrario. Rimane però vero che c’è un collegamento tra malattia e peccato. La vittoria sul peccato tuttavia non determina per ciò stesso la scomparsa della malattia che rimane come mezzo di espiazione e purificazione e anche come mezzo di elevazione. Con l’accettazione, nella fede e nell’amore, della sofferenza che la malattia comporta l’uomo può anzi partecipare alla redenzione di Cristo. È nel contesto della teo-logia della malattia che dobbiamo innanzitutto collocare la proble-matica della possessione.
In quest’ottica si deve dire che l’azione dei demóni è di duplice natura: indiretta e diretta . L’azione indiretta è quella che si mani-festa nella debolezza della carne che sfocia così spesso in malat-tia e ultimamente nella morte. Così come il disordine del cuore umano porta con sé un disordine della sua vita associata, il sorge-re di strutture di peccato e ultimamente di quell’ambiente permeato dal peccato e che spinge ad esso che è il “mondo”. In questo sen-so il demonio è il “principe di questo mondo”. Accanto però a quest’azione indiretta c’è un’azione diretta degli spiriti malvagi che si manifesta soprattutto come “tentazione”, cioè come suggestione del male. L’azione è finalizzata a modificare l’orientamento della volontà dell’uomo, portandola a dis–orientarsi da Dio. Quest’opera di dis–orientamento, se ha il suo fulcro nel fondo dell’anima e nel “cuore” dell’uomo come centro delle sue decisioni personali e libe-re, si attua partendo – per così dire – dalla periferia, cioè dalle fa-coltà di cui l’uomo si serve per pensare e decidere, soprattutto la fantasia. L’azione del maligno non può essere diretta sulla libertà, ma è “diplomatica”, cioè avviene attraverso mediazioni che sono quelle delle potenze corporee di cui si serve l’uomo per attuare la sua moralità (è tutto l’ambito morale fondamentale degli atti impe-rati e delle passioni). La “possessione” quindi (in senso lato) va vi-sta come un tentativo messo in atto da entità personali spirituali malvagie per prendere possesso dell’uomo in tutte le sue compo-nenti al fine di assoggettarlo e spingerlo contro Dio. In questo si manifesta l’odio verso Dio che non potendo estrinsecarsi anche qui in forma diretta, si esprime attraverso il danneggiamento del creato e soprattutto del capolavoro del creato che è l’uomo . Questo sforzo di assoggettamento può giungere in qualche caso fino a rendere tecnicamente “folle” l’uomo. Cioè fino al punto di far-gli perdere il controllo delle sue facoltà compiendo atti di cui non è più responsabile, atti che hanno di norma una valenza autodistrut-tiva o aggressiva, sia verbale che fisica nei confronti di Dio, delle cose sacre e delle persone. Anche qui con un crescendo di inten-sità che di norma si esprime con due termini distinti: ossessione e possessione.
Per valutare bene questo discorso è importante rifarsi ad una antropologia corretta, cioè che non indulga – in modo più o meno consapevole – a precomprensioni di stampo cartesiano e mecca-nicistico. Occorre cioè avere ben chiaro che l’uomo è corpore et anima unus. Se è importante distinguere ciò che rileva della sfera dell’anima e del corpo, tutto però deve avvenire senza compromet-tere in nulla l’unità sostanziale del composto. Ogni distinzione de-ve cioè operarsi nell’unito. Non solo: è importante recuperare la visione biblica e tradizionale dell’uomo a tre dimensioni, cioè so-matica, psichica e pneumatica. Non si tratta affatto di ipotizzare tre componenti dell’uomo, ma modalità diverse di esprimersi della componente immateriale. L’anima, che è il principio vitale, non e-sprime tutta la sua capacità vitale nel dinamismo vegetativo e ani-male del corpo (dimensione psichica), ma dispone di operazioni che trascendono la materia – pur essendo ad essa sempre stret-tamente legata (dimensione pneumatica).
Sempre in una prospettiva di teologia della malattia si può allo-ra elaborare questa classificazione eziologica: le malattie hanno una dimensione somatica e psichica (la malattia spirituale in senso vero e proprio è il peccato, che si annida nella volontà della perso-na). La malattia psichica, che è quella che qui ci interessa diretta-mente, può avere una causa somatica, demoniaca o spirituale. Può cioè ricollegarsi in modo più o meno evidente alla dimensione corporea, quindi materiale, dell’uomo; può essere invece frutto di un diretto intervento demoniaco; oppure ricollegarsi a una o più malvagie passioni umane (soprattutto la philautía, cioè lo smodato amore di sé, in particolare del proprio corpo ). Tutte queste consi-derazioni che meriterebbero certamente uno sviluppo più ampio, possono servire qui ad introdurci al difficile tema della diagnosi degli interventi malefici. Dovrebbe essere ormai chiaro che la que-stione è complessa e che una diagnosi corretta deve rifarsi ad una eziologia differenziata. Per esempio è evidente che l’azione male-fica non esclude di per sé che il soggetto sia malato, anche psichi-camente, per altra causa. Così come appare evidente che l’azione malefica sul soggetto induce di necessità un disordine nelle sue facoltà, quindi una malattia, la quale di norma presenta sintomi che possono essere letti anche solo in chiave somatica. Questo natu-ralmente se non immaginiamo l’uomo come non è, cioè la somma giustapposta di anima e corpo. Il fatto che un disturbo sia di origine endogena od esogena non modifica ordinariamente più di quel tanto il suo immediato proporsi fenomenico.
In che cosa consiste dunque la possessione?
Si intende per possessione una aggressione da parte di forze demoniache di un soggetto umano per cui questo si trova limitato o del tutto inibito nel disporre delle sue proprie funzioni psichiche.
Questa è la possessione in senso stretto, cioè la possessione accompagnata da follia, perché la possessione senza particolari e veri e propri disturbi psichici è un fatto più ampio che può essere considerato coestensivo con tutta l’azione dei demóni quando si manifesta in interiore homine.
«È spesso difficile dire perché questo tipo di possessione ac-compagnato da follia sovente agitata, tocca certi individui piuttosto che altri, così come è difficile spiegare per quale ragione la malattia, a parità di condizioni, tocca quel tale piuttosto che il tal altro. Il dia-volo sceglie di manifestarsi in questa forma in certi individui per del-le ragioni che non sono sempre chiare. Non si potrebbe sempre in-vocare uno stato peccaminoso più grande in colui che è vittima, perché altri sono risparmiati da questa forma di possessione quan-do il loro stato spirituale sembra pur tuttavia equivalente. Se a volte l’intervento demoniaco fa seguito a un peccato personale, questo ne è piuttosto – propriamente parlando – l’occasione che la causa. Ciò che determina la scelta particolare dei demóni appare tuttavia nel caso in cui l’uomo si è volontariamente e coscientemente abbando-nato al potere di Satana (qui il prototipo è Giuda), nel caso ugual-mente in cui la possessione e la follia che ne risulta sono stati indotti da pratiche di stregoneria e magia, come nel caso infine in cui si può vedere nella possessione/follia una prova permessa da Dio per permettere una purificazione e un progresso spirituale che, in certu-ni, non avrebbe potuto effettuarsi in altro modo» .
Il ministero dell’esorcismo era inizialmente qualcosa di molto diffuso nella comunità cristiana e il cui esercizio era abbastanza libero. Ben presto si è arrivati a determinare la funzione specifica dell’esorcistato e poi, successivamente il ministero è stato circo-scritto ai presbiteri. In seguito si è stabilito (Benedetto XIV, 1 otto-bre 1745) che il sacerdote può amministrare l’esorcismo solo se ha licenza da parte del suo Vescovo, e questa è la norma che si è andata consolidando nella Chiesa cattolica.
Così il Codice di Diritto Canonico del 1917 diceva che nessuno poteva esorcizzare senza espressa licenza del Vescovo, e la stes-sa cosa è stata ribadita nel codice del 1983.
Fino al 1998 era in vigore un rituale dell’esorcismo risalente al 1614. Esso è tuttora utilizzato ancora da molti esorcisti. La Con-gregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti ne concede l’uso ai Vescovi che ne fanno richiesta per i loro esorcisti. Riporta una serie di regole iniziali sul modo di amministrare questo sacramentale e contiene anche delle norme di discernimento. Vi si dice prima di tutto che il sacerdote non deve credere facilmente che qualcuno sia posseduto dal demonio: «In primis, ne facile cre-dat, aliquem a dæmonio esse obsessum» . Nel 1991 è stato con-cesso alla CEI e distribuito ai vescovi e ai sacerdoti da loro incari-cati un Rito degli esorcismi ad interim in lingua italiana. Finalmente nel 1998 è arrivato il nuovo rito nell’edizione tipica latina con il tito-lo De exorcismis et supplicationibus quibusdam che revisiona e sostituisce il Titulus XII del Rituale romano del 1614. Il rituale ave-va già subito alcune modifiche. La più significativa risale a Pio XII: gli indizi di possessione vengono qualificati come indizi possibili, anziché come indizi sicuri. Evidentemente si trattava di sottolinea-re la necessità di un discernimento che poggiasse su un quadro diagnostico globale, dove il punto focale era costituito dall’avver-sione per il sacro. I criteri di discernimento – con questa precisa-zione – sono transitati senza modifiche nel nuovo rito.
È rimasta intatta la formula «ne facile credat». Se quindi l’esorcista messo davanti ad un caso di presunta possessione avanza delle esi-genze di esame più dettagliato, questo non è indizio di incredulità, ma solo di obbedienza alle leggi della Chiesa. Bisogna fare di-scernimento, cioè non si deve procedere in modo spontaneo, qua-si meccanico, a praticare un esorcismo.
L’esorcismo è una preghiera con cui «la Chiesa domanda pub-blicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del Maligno e sottratto al suo dominio» . L’esorcismo che può compiere solo il presbitero au-torizzato dal Vescovo è quello sulle persone e riguarda solo i casi di possessione . Dunque sulle cose o sulle persone nei casi di vessa-zioni che non arrivano alla possessione qualunque sacerdote è competente. È un sacramentale e come tale la sua efficacia dipen-de dalla fede di chi lo amministra, dalla fede di chi lo riceve e dalla fede delle persone che sono presenti, per cui è chiaro che la pre-senza di curiosi, di persone che sono lì soltanto per godersi lo spet-tacolo danneggia la riuscita del sacramentale stesso.
L’elemento decisivo è sempre la fede per cui l’esorcista deve continuamente esortare la persona esorcizzata ad assecondare con la preghiera, con una vita di fede, con il suo impegno, l’azione che viene svolta.
Anche l’esorcista deve impegnarsi personalmente con una vita di preghiera, di fedeltà a Dio, di impegno, questo perché un sacer-dote può celebrare validamente una Messa anche essendo – pur-troppo – molto lontano da Dio, pur dubitando anche della verità di quello che sta dicendo. La Messa è pur sempre valida. Diverso è il caso del sacramentale. L’efficacia del sacramentale non è sempre garantita, perché chi lo amministra e chi lo riceve non danno tutto quello che potrebbero dare in termini di fede e di preghiera e an-che naturalmente perché Dio può avere degli altri progetti…

Il tema del maleficio (fattura) è un argomento molto delicato. Anche su questo punto, esistono effettivamente diversità di opinio-ni nel campo della teologia.
Per esempio, ancora recentemente, un teologo brasiliano di o-rigine tedesca, mons. Bonaventura Kloppenburg, Vescovo di Novo Hamburgo e membro della Commissione Teologica Internazionale (un organismo della Santa Sede), in un convegno di otto anni fa, a Lione, ha sostenuto che la cosiddetta magia nera è una illusione . Il diavolo non agirebbe su commissione. Il che non vuol dire che il demonio non possa nuocere alle persone, solo che per farlo non si servirebbe di intermediari.
Bisogna però riconoscere che la patristica e la grande maggio-ranza dei teologi ha sempre ritenuto il maleficio possibile e reale .
Recentemente se ne è parlato anche in una nota pastorale del-la conferenza episcopale toscana intitolata A proposito di magia e demonologia . Che io sappia è il primo documento episcopale che si occupa così distesamene di demonologia, affrontando anche questioni pratiche. In tema di maleficio ci dice questo: «Alcuni fe-deli si domandano: è vera la “fattura”? Ha effetti reali? Il demonio si può servire di persone cattive e quindi di gesti come la “fattura” o il “malocchio” per fare del male a qualcuno? La risposta è certa-mente difficile per i singoli casi, ma non si può escludere, in prati-che di questo genere, una qualche partecipazione del gesto male-fico al mondo demoniaco, e viceversa. Per questa ragione la Chie-sa ha sempre fermamente rifiutato e rifiuta il “maleficium” e qua-lunque azione ad esso affine» .
Una cosa è certissima: la persona che fa la fattura – posta le ovvie condizioni della piena avvertenza e del deliberato consenso – commette un peccato grave, gravissimo, perché vuole fare del male, odia e quindi è chiaro che si mette in sintonia con colui che è omicida fin dal principio, e questa sintonia non è solo un fatto psi-cologico, è qualcosa di più. Mettersi in sintonia vuol dire entrare in una certa sfera di influenza.
Non si può però neanche escludere che ci sia una partecipa-zione in senso rovesciato, cioè non solo del soggetto alla malvagi-tà del demonio, ma anche del demonio al soggetto che compie l’azione malefica, così che questi partecipa in qualche modo della sua forza e la persona (o la cosa) oggetto del maleficio ne è colpi-ta. Questo naturalmente solo per permissione di Dio e nei limiti di questa permissione.
Il tema è delicatissimo perché mai come in questo campo sono possibili le illusioni e lo scivolamento in forme maniacali di delirio di persecuzione. Al demonio interessa stare nascosto, però uno può occultare la sua vera esistenza sia perché non se ne parla mai, sia perché se ne parla troppo. Anche l’eccessiva e disordinata pubbli-cità è un modo di occultare la propria natura. Clive S. Lewis, che ci ha regalato una serie di gustosi ma anche profondi libretti sul dia-volo, nota con arguzia: «Vi sono due errori, uguali ed opposti, nei quali la nostra razza può cadere nei riguardi dei Diavoli. Uno è di non credere alla loro esistenza. L’altro, di credervi, e di sentire per essi un interesse eccessivo e non sano. I Diavoli sono contenti d’ambedue gli errori e salutano con la stessa gioia il materialista e il mago» .
La caccia alle streghe, è un tema che deve far riflettere: noi oggi possiamo dire con certezza che non è vero che è stata la Chiesa a causare la caccia alle streghe, essa c’è stata per altre ragioni. Oggi siamo anche in grado di dire che l’intervento dell’Inquisizione fu un intervento che ha messo molta più moderazione di quanta non ce ne fosse nei tribunali civili . Però – attenzione! – perché effettivamente c’è stato un periodo storico in cui la gente si è lasciata prendere da una vera e propria mania che un grande demonologo, Egon von Pe-tersdorff non esita a qualificare – nei suoi eccessi – essa stessa co-me diabolica… .


3. Criteri diagnostici

Come sempre succede la soluzione dei problemi è condizionata dalla loro corretta o scorretta impostazione. La delicata questione della diagnosi della possessione e del disturbo malefico in genera-le è anch’essa condizionata dalla generale impostazione della problematica. Le pagine che precedono hanno cercato di fornire un quadro di riferimento, certamente bisognoso di sviluppi e inte-grazioni, ma forse sufficiente all’impostazione del problema. Ini-ziamo col mettere in chiaro come il problema non va impostato. Di-re che la ammissione di una diretta influenza demoniaca è condi-zionata dall’esclusione di ogni sia pur lontanamente plausibile spiegazione naturale porta di suo ad eliminare di fatto ogni possibi-le diagnosi in questo senso. Gli esorcisti che partono da questo presupposto sono molto spesso degli esorcisti “credenti” ma “non praticanti”. Il passo alla miscredenza è solo questione di tempo. Ma c’è anche l’ipotesi – tutt’altro che remota – di un passaggio alla credulità indiscriminata, perché così – sempre in concreto – molto spesso va l’uomo… Questo punto di partenza è viziato da un falsa precomprensione dei rapporti tra teologia e scienza e a monte tra soprannaturale e naturale. Il teologo non è condannato ad occupa-re gli spazi che gli sono concessi, bontà loro, dagli altri inquilini dell’edificio del sapere . Di questo passo il dormire sotto i ponti è un destino ineludibile… In realtà si tratta di occupare tutto e di im-parare a coabitare nel rispetto reciproco. Fuor di metafora: l’inter¬pretazione teologica non procede a compartimenti stagni, perché tutto l’essere è suo oggetto proprio. La teologia si occupa di Dio e di ogni cosa in quanto ha (e di principio sempre lo ha) riferimento a Dio. Se si occupa dell’uomo se ne occupa in ogni sua dimensione. Lo stesso fanno le scienze umane, in cui rientrano anche la psico-logia e la psichiatria. La differenza di oggetto formale non è ricon-ducibile ad una differenza di oggetto materiale, appunto. Nella concreta prassi dell’interpretazione però occorre tenere nella dovu-ta considerazione i risultati scientificamente motivati che procedo-no da altri approcci, confrontarsi con essi nel rispetto del metodo scientifico che li ha generati e del metodo teologico proprio, nella certezza che verità non può contraddire a verità. Il lavoro dell’in-terpretazione è sempre necessariamente olistico e tanto più con-vincente quanto più sa rispondere alle critiche che procedono da altri modelli, sa criticare modelli alternativi e sa integrare modelli complementari.
In quest’ottica è importante prendere in esame qualche critica di tipo “genealogico” che metterebbe in forse – se accolta – tutto l’impianto della nostra interpretazione. L’accettazione dell’ipotesi demonologica sarebbe dovuto soltanto al fatto che in una fase ar-retrata del progresso della scienza medica – della psichiatria in particolare – le malattie in generale e quelle psichiche in particola-re erano sempre solo ricondotte a fenomeni di possessione o ma-leficio o comunque all’azione di spiriti malvagi. Questa impostazio-ne, in quanto legata ad una visione del mondo caduca e ormai su-perata, deve essere decisamente abbandonata.
Qui bisogna rispondere che questa critica riposa su presupposti storici falsi. Come l’interpretazione della credenza di Gesù nell’e¬sistenza degli spiriti malvagi come partecipazione ad una unani-memente condivisa visione del mondo degli uomini del suo tempo. Noi sappiamo infatti che questa visione condivisa non esisteva. I sadducei non credevano all’esistenza di spiriti buoni o cattivi che fossero. Anche la concezione dell’istinto malvagio (yetser ha–ra’), della sua natura e della sua origine (impersonale o personale e-sterna) all’interno della tradizione rabbinica, quindi farisaica, non è affatto univoca . Così noi constatiamo che i racconti evangelici di esorcismo ci mettono davanti ad ogni pié sospinto a testimonianze di diagnosi differenziata. Malattie e possessioni non sono percepiti affatto come fungibili.
In primo luogo possessioni e malattie o infermità sono netta-mente distinte in numerosi passi:
«La sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epi-lettici e paralitici; ed egli li guariva» (Mt 4,24).
«Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati» (Mt 8,16).
«Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scaccia-re gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità. […] Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, caccia-te i demoni» (10,1.8) .
Inoltre, la maggior parte delle malattie o infermità citate a pro-posito di miracoli compiuti da Cristo non appaiono affatto legate ad una possessione .
In terzo luogo, in alcuni casi, la stessa persona risulta affetta simultaneamente da una possessione e da una malattia senza che la seconda sia legata alla prima. Abbiamo già visto per esempio Mt 8,16, dove Gesù procede a due operazioni successive: l’una di esorcismo (scacciò gli spiriti), l’altra di guarigione (guarì tutti i ma-lati). La prima però sarebbe bastata se la malattia si fosse identifi-cata con la possessione o fosse stata causata da essa.
Non dobbiamo neppure pensare che – come spesso si dice – i cristiani antichi non sapessero distinguere tra malattia e posses-sione. «Si pensa spesso al giorno d’oggi che l’attribuzione di una causa demoniaca a certe forme di follia è dovuta al fatto che la medicina dell’epoca non sarebbe stata in grado di dare ad essa delle spiegazioni naturali. Questo vuol dire ignorare che la medici-na contemporanea agli scritti patristici a cui facciamo riferimento vedevano le cose nella stessa prospettiva naturalista della psichia-tria attuale e non lasciava, esattamente come questa, alcuno spa-zio nelle sue descrizioni alla demonologia». Il celebre trattato ip-pocratico intitolato Del male sacro, attacca tutti quelli che vogliono attribuire l’epilessia e, in termini generali, qualunque malattia men-tale, a un potere divino o demoniaco.
Certo le diagnosi mediche del tempo di Gesù non sono le stes-se di oggi, ma ciò non muta l’impostazione del problema. La dia-gnosi demonologica poi è di natura ultimamente carismatica . Ciò che importa rilevare è che all’interno del progresso della scienza medica e – in una certa misura – anche della diagnostica teologica della possessione, rimane chiaro che i due fenomeni non coinci-dono.
Si può poi avanzare un “genealogia della genealogia”, cioè in-terpretare la negazione come espressione della volontà di potenza del razionalismo, del suo “delirio di interpretazione”, tale da non ammettere ambiti che possano trascendere il potere esplicante della ragione naturale, soprattutto quando questi ambiti si aprono su orizzonti inquietanti, che mettono paura. Qui molto spesso l’ironia assume i tratti di una specie di “esorcismo laico”. Ciò fra l’altro è autocontraddittorio perché contraddice l’agnosticismo che – normalmente – accompagna l’impostazione scientistica. Oggi i progressi dell’epistemologia generale e di quella psichiatrica in particolare concludono ragionevolmente a risultati ben più umili e aperti.
La crisi e gli sviluppi dell’epistemologia contemporanea, in par-ticolare il frantumarsi del modello positivista, hanno avuto un inevi-tabile ricaduta in psichiatria: «Da parte di vari ricercatori si parla di crisi della ragione. Mentre affiora un insieme di ragioni, si fa strada la consapevolezza dell’impossibilità di ridurle alla Ragione di clas-sica memoria illuminista. Si incrina: – il dogma della riduzione del complesso al semplice; – il postulato del poter descrivere ogni fat-to noto di natura sotto la relativa legge; – la nozione di oggettività fondata sulla elaborazione sommativa dei dati osservati. La co-scienza scientifica si propone sempre meno di pervenire a para-metri totalizzanti in quanto si infrange nella crisi della Ragione e nel riaffiorare dell’indiscussa validità di paradigmi locali» .
Scilligo, a proposito della diagnosi di possessione, non teme di evocare la possibilità della coesistenza di interpretazioni diverse: «Di fronte a questi fenomeni lo scienziato mantiene una mente a-perta e come minimo sospende il giudizio e spera in una risposta futura che avalli la sua convinzione di ridurre tutto a processi fisici. Lo scienziato può anche rischiare di più e abbassare il suo pregiudi-zio e pensare ad esempio che anche in questo campo potrebbe va-lere il concetto di complementarietà del fisico Bohr […]. Potremmo trovarci di fronte ad un fenomeno che per certi versi è spiegato bene dalla teoria delle scissioni e proiezioni e per certi versi dalla teoria delle possessioni spiritiche. I fatti concreti osservati potrebbero co-stringere anche lo scienziato ad accettare spiegazioni parallele, tut-te e due plausibili, proprio come è accettata la spiegazione di un u-nico fenomeno, la luce, sulla base di due teorie».
Oggi il famoso Manuale Diagnostico dell’American Psychiatric Association, nella sua IV ed., descrive la possessione in termini molto «neutrali» e ammonisce che si può parlare di Disorder, cioè porre una diagnosi psichiatrica, solo se non si tratta di stati accet-tati dalla cultura dell’interessato come una parte normale di una pratica culturale o religiosa (cf. DSM–IV, pp.486–487.490. 727–728). Questo può essere visto come una generica forma di tolle-ranza religiosa, ma credo debba essere interpretato soprattutto come prudenza scientifica nell’affrontare un fenomeno di difficile catalogazione.


I criteri di discernimento

Il vecchio rituale li elencava in questo modo: parlare lingue sco-nosciute, non soltanto qualche parola, ma intrattenere un dialogo, una conversazione; manifestare fatti o cose nascosti e lontani; svi-luppare una forza assolutamente sproporzionata rispetto all’età e alla complessione.
Questi sono i termini usati nel rituale edito da Paolo V nel 1614 e rivisto da Pio XII nel 1952. Nel De exorcismis et supplicationibus quibusdam si aggiunge giustamente un altro criterio che è l’avver-sione a Dio, a Maria, ai Santi e in generale a tutto ciò che dice re-lazione con l’azione salvifica di Dio. Viene anche accentuata la ne-cessità di un quadro diagnostico globale.
Vale la pena riportare il testo per intero:
«L’esorcista dunque non proceda alla celebrazione dell’esorci¬smo se non ha accertato, con certezza morale, che l’esorcizzando sia veramente posseduto dal demonio e – se possibile – con il suo consenso.
Secondo la prassi sperimentata, si considerano come segni di possessione diabolica: proferire molte parole in una lingua scono-sciuta o capire chi la parla; manifestare cose lontane o occulte; dimostrare forze superiori alla natura dell’età o della condizione. Tali segni possono offrire un qualche indizio. Ma siccome tali segni non sono necessariamente da interpretare come provenienti da parte del diavolo, bisogna fare attenzione ad altri segni, soprattutto di ordine morale e spirituale, che manifestano diversamente l’in¬tervento diabolico, come ad esempio una forte avversione nei con-fronti di Dio, del santissimo Nome di Gesù, della Beata Vergine Maria e dei Santi, della Chiesa, della parola di Dio, di cose, riti, so-prattutto sacramentali, e immagini sacre. A volte si deve esamina-re con molta cura il rapporto di tutti i segni con la fede e il combat-timento spirituale nella vita cristiana, perché il Maligno è soprattut-to nemico di Dio e di tutto ciò che i fedeli mettono in relazione con l’azione salvifica di Dio» .

Questi sintomi si presentano – anche presi uno per uno – come fenomeni spiegabili in maniera naturale. La personalità multipla (MPD Multiple Personality Disorder), per esempio, è un fenomeno che gli psichiatri conoscono e ritengono di poter ricondurre a un processo di scissione e proiezione . Bisogna però subito aggiun-gere che – pur essendo stato accolto nel 1980 nel DSM–III (Ame-rican Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) – si tratta di un criterio diagnostico molto discus-so e contestato . Il sintomo più sicuro – preso a sé stante – sem-bra essere il parlare lingue sconosciute . Quando si tratta veramen-te di un discorso, di una conversazione in una lingua che il sogget-to per certo non può conoscere, è qualche cosa che dal punto di vista naturale non si può spiegare in nessun modo.
Naturalmente tutte le volte che si parla di sintomi è chiaro che occorre una visione globale della situazione, bisogna cercare di vedere non tanto separatamente le manifestazioni, ma in tutto il contesto in cui si presentano e l’esorcista deve fare un esame det-tagliato della persona e della sua situazione prima di procedere all’esorcismo.
C’è da dire però anche un’altra cosa: l’esorcismo solenne «sugli ossessi» non è l’unica forma di intervento nei confronti di disturbi di carattere malefico, così come d’altra parte, la possessione dia-bolica non è l’unica forma di manifestazione di carattere malefico. Ci possono essere fatti anche di altra natura: si può parlare, per esempio, di ossessione nel senso di un disturbo che non arriva fino alla possessione in senso stretto, ma che si manifesta in ves-sazioni che toccano più o meno pesantemente la persona, nei confronti delle quali si può procedere con preghiere, con esorcismi in senso lato. Per infestazione invece si intende in genere il distur-bo che riguarda cose e luoghi.

L’elemento decisivo è sempre quello indicato nella prima lettera di san Pietro: «Siate temperati, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi» (1Pt 5,8–9). “In” in ebraico vuol dire sia “in” che “con”; in questo caso potremmo quindi tradur-re: «resistetegli saldi con la fede», dove la fede rappresenta l’ele-mento determinante di qualsiasi lotta contro il demonio.
Prendiamo un altro passo importante che è quello del capitolo sesto della lettera agli Efesini: «Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Prin-cipati e Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno mal-vagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la coraz-za della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio» (Ef 6,11–17).
Nel Vangelo di Luca, il Signore, che ha scacciato il demonio da un indemoniato, ci dà così la spiegazione di quello che è succes-so: «Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo pa-lazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l’armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino» (Lc 11,20–22).
Chi è Gesù? È il più forte, in grado di schiacciare il forte, cioè il demonio. Se dovessi dire quale è l’atteggiamento che il cristiano deve avere nei confronti di questo mondo inquietante e tenebroso, direi che non è quello della paura, ma quello della vigilanza, anzi il cristiano in fondo se ha paura e nella paura si adagia, pecca, per-ché vuol dire che non crede! Se noi diamo un’occhiata alla storia della salvezza vediamo che a tutti i livelli c’è sempre una tensione, fra un “già” e un “non ancora”. Il Signore ci ha già salvati, però noi abbiamo ancora qualcosa da fare a questo mondo per accogliere questa salvezza. Così possiamo dire che il Signore ha già vinto il demonio e che però il demonio è ancora all’opera. Quindi la vigi-lanza la dobbiamo sempre avere senza mai perdere la consapevo-lezza della vittoria che il Signore ha riportato sul demonio. Il de-monio in fondo è vinto e noi lo vinciamo nella misura in cui con la fede ci affidiamo interamente a quest’Uomo più forte di lui che è Gesù nostro Signore.
È significativo anche il confronto con altre culture non toccate dal cristianesimo. A volte ne ho trovato conferma in alcuni missio-nari che sono venuti a contatto con popolazioni in cui c’è un rap-porto inquieto, teso, con il mondo degli spiriti, come una paura co-stante nei confronti di un mondo dal quale si teme sempre un at-tacco. Il cristianesimo allora porta serenità, perché porta la convin-zione profonda che questo mondo è soggiogato, è tenuto lontano, è controllato.
«La cultura atea dell’Occidente moderno vive ancora grazie alla libertà dalla paura dei demoni portata dal cristianesimo» . L’otti-mismo che pervade la nostra civiltà occidentale ha questa origine cristiana, ma può anche mantenersi solo conservando i suoi rapporti con il cristianesimo che lo giustifica (l’«uomo forte» non è da temere solo se qualcuno «più forte» di lui lo tiene legato): «se questa luce redentrice del Cristo dovesse spegnersi, pur con tutta la sua sa-pienza e tutta la sua tecnologia il mondo ricadrebbe nel terrore e nella disperazione. Ci sono già segni di questo ritorno di forze oscu-re, mentre crescono nel mondo secolarizzato i culti satanici» .


4. L’aspetto pastorale e liturgico.

Ho svolto un ministero pastorale in questo campo per più di dieci anni.
Nel mese di dicembre del 1992 (o poco prima) il Vescovo mi ha affidato l’incarico di prendere in esame i casi di persone che si ri-tenevano oggetto di disturbi di origine malefica, riservando a sé la qualifica e il ministero di esorcista della diocesi.
Ho usato sempre questa prassi: più colloqui preliminari al fine di accertare con la massima accuratezza possibile la reale situazione della persona. Quindi, nell’eventualità lo ritenessi necessario, ri-chiesta di celebrazione dell’esorcismo solenne da parte del Ve-scovo. Il Vescovo ha sempre, di fatto, incaricato me. Ho cercato fin da subito la collaborazione di medici specializzati in Psichiatria.
Descrivo qualche caso non tra quelli che mi paiono più “ecla-tanti”, ma scegliendo alcuni casi emblematici, “tipici” delle diverse situazioni che mi si presentano spesso nel ministero. Avverto che la descrizione subisce modifiche di dettaglio, che non influiscono ovviamente nella sostanza, onde salvaguardare la privacy delle persone.
1. Pochissimo tempo dopo aver ricevuto l’incarico, si è pre-sentata da me una signora di origine slava sui cin-quant’anni. Aveva frequentato a lungo l’ambiente degli «o-peratori dell’occulto» facendo anche la rappresentante di ditte fornitrici del settore (carte, libri, pupazzi, candele…). La donna riteneva di avere ricavato da questa attività una serie di disturbi di origine malefica. In certi momenti le capitava di perdere il controllo di sé. Questa donna mi porta altre due persone: fratello e sorella, ancora più disturbati di lei. Io cer-co di tranquillizzarli e minimizzo l’importanza del caso. Una sera arrivano all’improvviso. La ragazza è praticamente sor-retta da due persone e sta male. È molto pallida e non par-la. Provo a recitare qualche preghiera, ma le reazioni sono violente. Telefono al Vescovo chiedendo istruzioni. Il Ve-scovo non ritiene che sia il caso di celebrare l’esorcismo so-lenne. Chiedo comunque l’autorizzazione di utilizzare l’esor-cismo di Leone XIII che mi viene accordata. La reazione della ragazza è ancora più violenta: urla e si dimena. Sono necessarie più persone per tenerla ferma. Una cosa soprat-tutto mi colpisce: il movimento degli occhi è molto strano, anche se non mi pare eccezionale. L’impressione soggetti-va è comunque molto forte. Non articola nessuna parola do-tata di senso, il tono della voce però è decisamente impres-sionante. Dopo circa un’ora di preghiera, interrompo e fisso un nuovo incontro fra qualche giorno. Per il giorno fissato è presente anche uno psichiatra, ma la ragazza non si pre-senta più, né avrò più sue notizie in seguito.

2. P. B. è una ragazza di circa vent’anni, figlia unica. Ha fre-quenti crisi che paiono collegate con una certa fobia del sa-cro. Va in crisi quando si recita il Rosario. Vado a casa sua per assistere ad una di queste crisi. Effettivamente si agita molto. I movimenti però, per quanto scomposti, mi paiono decisamente controllati dalla ragazza. La voce è solo un po’ stridula, ma tutto sommato normale. Non dice cose signifi-cative. La indirizzo dallo psichiatra che, davanti alla resi-stenza alle terapie e al persistere delle crisi, decide di rico-verarla. I genitori – soprattutto la madre – sono iperprotetti-vi. Il ricovero dura una quindicina di giorni. La ragazza ne esce guarita.

3. Una giovane donna è affetta da fortissimi mal di testa. Si è sottoposta a molte visite, anche specialistiche, senza ri-sultato. Risulta sana e le blande terapie proposte non hanno effetto. La donna mi pare assolutamente normale e non par-ticolarmente influenzata religiosamente. La convivenza con la suocera (o altra persona di casa) è difficile. È la presenza di questa persona, nella sua sensibilità, che fa problema. La invito a pregare, soprattutto a perdonare. La vedo due volte (o una soltanto?…) e la benedico. I mal di testa spariscono improvvisamente.

4. M. S. è una ragazza di circa vent’anni. Conosce una per-sona molto strana che le parla di un mondo invisibile con cui entrare in contatto. Partecipa a sedute spiritiche (guidate da questa persona?). Mantiene una relazione (non so fino a che punto «pulita») con questa persona molto più vecchia di lei, naturalmente di nascosto dai genitori. Sente voci e vede luci di notte. La sensazione della luce che gira per la stanza è piacevole. M. è strana e irrequieta. Ha diversi ragazzi per-ché molto bella, ma i rapporti non sono mai sereni. Si con-fessa e tutto sembra sparire. A volte però affiorano compor-tamenti strani, si direbbe distruttivi, nei confronti delle per-sone. Sembra che si diverta a far soffrire le persone. Un suo ragazzo si suicida. Una volta – forse l’ultima – viene da me per confessarsi. Poi, prima che fossimo entrati in argomento e si accennasse alla confessione, improvvisamente, si dà alla fuga. La inseguo. Prego di nascosto e lei inveisce con-tro di me dicendomi «smettila di dire queste…».

5. Una giovane ragazza viene coinvolta dal fidanzatino in un gruppo di giovani «satanisti». Li guida una persona più matura. Vanno al cimitero e scoperchiano le tombe. Fanno riti strani che culminano nel falò di un crocifisso. Non ho ve-rificato la veridicità di questo episodio, so però per certo che episodi di questo genere si sono verificati nelle nostre zone. Ho avuto anche la visita di una ispettrice di Polizia che vole-va avere da me qualche informazione. Sono entrato in pos-sesso di alcune fotografie scattate da giornalisti. La ragazza mi pare assolutamente sincera. L’episodio che fa scattare le turbe è questo: una sera la ragazza è messa in una cassa da cui è stato tolto il cadavere. Da allora è agitata, non dor-me, fa fatica a entrare in Chiesa, ecc. Ottengo il permesso di esorcizzarla. Si agita parecchio. Dopo diverse sedute in-comincia a stare meglio. Mi telefona che non ha più bisogno di venire.

6. Una signora di mezza età che vive sola è spaventata dal-la comparsa in casa di macchie con visi e simboli. Mi reco sul posto. Spostiamo faticosamente (e pericolosamente) un grosso armadio per visionare le macchie più sospette. Sono solo macchie di umidità. Accetta docilmente la spiegazione e si confessa.

Questa è la prassi con cui affronto abitualmente i casi.
Dopo qualche convenevole per cercare di mettere la persona o le persone a proprio agio, mi faccio raccontare di che si tratta. A-scolto e mi sforzo di completare il quadro con opportune domande. In particolare cerco di accertare se la persona ha già da tempo di-sturbi del genere, se ha seguito terapie, se è attualmente in cura. Indago sulla sua frequentazione di maghi o sedute spiritiche o altro del genere. Sulla sua fede e pratica cristiana, sulla situazione ma-trimoniale e familiare.
Per lo più mi limito ad una esortazione che tende a rafforzare, in molti casi a riaccendere, la fede. Faccio uso dei sacramentali, in particolare olio benedetto. Mai però senza che questo gesto sia spiegato e accompagnato dalla Parola di Dio. Insisto sull’ascolto della Parola di Dio, sulla recita del Rosario, sulla lettura della Bib-bia, sulla preghiera del cuore, sull’Eucaristia. Suggerisco la fre-quentazione di qualche gruppo di preghiera, parrocchiale o altro e insisto perché si perseveri in quello già frequentato, qualora ci sia.
Ho constatato che per molti la partecipazione ad una Messa con preghiere di liberazione, molto movimentata ed «emozionan-te», ha costituito il momento forte – la «scossa» – per un generale riavvicinamento alla fede. In qualcuno l’effetto è stato disturbante (nel qual caso li sconsiglio di continuare), in altri è il punto di par-tenza di un cammino di fede che cerca contenuti, anche dottrinali, sempre più solidi. In questo caso – per esempio – il «riposo nello Spirito» rappresenta un episodio di passaggio.
In moltissimi casi il colloquio sfocia in una confessione, che per tanti è la «seconda» della vita, e in molti prosegue in un rapporto di guida spirituale.

Constato che le preghiere di liberazione e gli esorcismi hanno un effetto per lo più positivo. Si può certamente pensare ad un «ef-fetto placebo», peraltro in sé tutt’altro che disprezzabile se porta buoni frutti. Non mi pare però che tutto possa e debba essere ri-dotto a questo.
L’esperienza che ho accumulato mi ha confermato nella con-vinzione che l’uso dei sacramentali sia molto utile se inserito in un contesto di fede. I sacramentali fanno parte della struttura sacra-mentale della fede cristiana. L’abuso è certamente possibile. Mi è capitato per esempio il caso di una signora che per potenziare l’efficacia dell’olio benedetto se ne era letteralmente versata in te-sta una bottiglia, con grande sconcerto del figlio… Sono tuttavia riuscito a convincerla ad abbandonare completamente questo tipo di pratiche! Bisogna notare però che l’abuso attraversa tutti gli am-biti dell’esistenza cristiana: non risparmia neppure la Bibbia, di cui si può fare un uso fondamentalistico, o la Messa che può essere concepita come un gesto magico, soprattutto le Messe per i defun-ti. Constato spesso con raccapriccio che il rapporto che la nostra gente ha con la Messa è spesso di questo genere. Questo però non può essere una buona ragione per allontanare i fedeli dalla Messa e neppure per mettere in discussione la pratica delle Messe in suffragio dei defunti. La catechesi e – a monte – la teologia dei sacramentali è utilissima. Essi rappresentano il modo tradizionale della Chiesa per espandere l’ordine sacramentale a tutti i momenti della vita. La vita del cristiano è esistenza sacramentale. Mi pare che la risposta adeguata allo scadimento magicistico non sia l’e-sclusione, ma l’integrazione.

Altri esorcisti hanno confermato una mia impressione: per lo più ci troviamo davanti a fenomeni misti, dove cioè patologia e influsso malefico sono strettamente intrecciati.

Mi sento a questo punto anche di produrre dei desiderata. È importante sottrarre l’esorcista dal suo attuale isolamento pastora-le, che gli conferisce per lo più una identità quasi “stregonesca”.
È importante dissolvere l’eccessiva concentrazione sulla pos-sessione e quindi sull’esorcismo solenne. Attualmente il termine esorcismo è diventato sinonimo di esorcismo solenne, per cui si è introdotto il neologismo “preghiere di liberazione”. Al di là di un problema di terminologia sarebbe opportuno dotare la Chiesa di preghiere ufficiali di taglio esorcistico che possano servire per tutti i casi (che sono i più frequenti) che non rientrano nel caso della li-berazione di un ossesso. Il Benedizionale è stato accusato di aver eliminato ogni riferimento demonologico. Non è proprio esatto: se si leggono bene le norme introduttive si vede che una delle funzio-ni delle benedizioni è proprio quella di sottrarre le cose dall’influsso del demonio, quindi – anche se poi la preghiera specifica non lo nomina esplicitamente – la norma introduttiva dice che ha anche questa finalità . Rimane tuttavia l’esigenza che vi siano anche preghiere con esplicito riferimento esorcistico. Nel frattempo si può ricorrere a preghiere libere. Nel 1985 la Congregazione per la Dot-trina della Fede ha inviato una lettera ai Vescovi richiamando le norme della Chiesa sugli esorcismi. Vi si dice che i fedeli laici non possono usare le formule dell’esorcismo solenne e neppure quelle dell’esorcismo di Leone XIII, tuttavia la lettera conclude che: «il richiamo di queste norme […] non deve affatto allonta-nare i fedeli dal pregare affinché, come ci ha insegnato Gesù, siano liberati dal male» .



Bibliografia sommaria


Per il momento esegetico

Rimane fondamentale: HEINRICH SCHLIER, Mächte und Gewalten im Neuen Testament (Quæstiones Disputatæ 3), Freiburg i. B.: Herder, 1958; trad. it.: Principati e potestà nel Nuovo Testamento, Brescia: Morcelliana 1967.
Per mettere a fuoco la posizione di forte centralità del ministero esorcistico nel Nuovo Testamento ho trovato di grande utilità:
SUSAN R. GARRETT, The Demise of the Devil. Magic and the De-monic in Luke’s Writings, Minneapolis: Augsburg Fortress, 1989.
GRAHAM H. TWELFTREE, Jesus the Exorcist. A contribution to the Study of the Historical Jesus, Peabody – Massachussetts: Hen-drickson Publishers, 1993.
OSCAR BATTAGLIA, Gesù e il Demonio. Saggio sulla Demonologia nei Vangeli, Assisi: Cittadella, 2003.


Per il momento patristico

Jean Claude Larchet è un teologo francese di confessione orto-dossa. Il suo “trittico” incentrato sulla teologia della malattia costi-tuisce un contributo di grande valore per il nostro argomento. Vali-do anche per l’aspetto sistematico.
JEAN CLAUDE LARCHET, Théologie de la maladie, Paris: Éditions du Cerf, 1991; trad. it. Teologia della malattia (Universale teologica 34), Brescia: Queriniana, 1993.
IDEM, Thérapeutique des maladies mentales. L’expérience de l’Orient chrétien des premiers siècles, Paris: Éditions du Cerf, 1992.
IDEM, Thérapeutique des maladies spirituelles. Une introducyion à la tradition ascétique de l’Église orthodoxe, Paris: Éditions du Cerf, 2000/4ª ed.; trad. it. Terapia delle malattie spirituali. Un’intro-duzione alla tradizione ascetica della Chiesa ortodossa, Cinisello Balsamo (MI): Edizioni S. Paolo, 2003.



Per il momento sistematico

EGON VON PETERSDORFF, Demonologia. Le forze occulte ieri e og-gi, Invito alla lettura di Massimo Introvigne, prefazione di Pietro Cantoni, Milano: Leonardo (Arnoldo Mondadori Editore), 1995.
RENÉ LAURENTIN, Il demonio mito o realtà. Insegnamento ed espe-rienza del Cristo e della Chiesa, trad. it., Milano/Udine: Massi-mo/Segno, 1995.
BENITO MARCONCINI – ANGELO AMATO – CARLO ROCCHETTA – MO-RENO FIORI, Angeli e demoni. Il dramma della storia tra il bene e il male (Corso di teologia sistematica, 11), Bologna: Edizioni Deho-niane Bologna, 1991.


Sull’aspetto parapsicologico

MARIA TERESA LA VECCHIA, Antropologia paranormale. Parte I: Fe-nomeni dell’occulto e della Parapsicologia (ad uso degli studenti), Roma: Pontificia Università Gregoriana, 1989.
IDEM, Antropologia paranormale. Parte II: Fenomeni preternaturali e soprannaturali (ad uso degli studenti), Roma: Pontificia Universi-tà Gregoriana, 1989.

Sull’aspetto liturgico

ACHILLE M. TRIACCA, Esorcismo, in: DOMENICO SARTORE, CSJ – ACHILLE M. TRIACCA, SDB – CARLO CIBIEN, SSP (a c. di), Liturgia, Cinisello Balsamo (Milano): S. Paolo, 2001, pp. 711–735.
AA. VV., «Cacciate i demoni». Manuale per l’uso, in: Rivista Litur-gica 87 (6, 2000).
AA. VV., De exorcismis, in: Ephemerides liturgicæ 114 (3, 2000).


Opera collettiva che tratta del problema dell’esorcismo in chiave interdisciplinare (teologia dogmatica, psichiatria, psi-cologia, liturgia, criminologia, pastorale, ecc.):
MANLIO SODI (a c. di), Tra maleficio, patologie e possessione de-moniaca. Teologia e pastorale dell’esorcismo, Padova: Messagge-ro, 2003.


Note:
M. INTROVIGNE, Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici, dallo spiritismo al satanismo, Sugarco, Milano 1990, p. 39. Tutta questa importante opera di Introvi-gne può essere considerata come la dimostrazione fattuale di questo assunto. L’esito della secolarizzazione non è stato la scomparsa della magia, ma la sua ricomparsa in forme massificate.
Per una corretta comprensione del ruolo indispensabile e della dignità dell’argomento di “convenienza” in teologia, si veda: G. NARCISSE, O.P., Les rai-sons de Dieu. Argument de convenence et Esthétique théologique selon saint Thomas d’Aquin et Hans Urs von Balthasar, prefazione di J. P. Torrel, Fribourg Suisse: Editions Universitaires, 1997.
Questo ruolo è francamente riconosciuto da Karl Barth come un merito non tra-scurabile della angelologia scolastica, in particolare di Tommaso d’Aquino, il doctor angelicus, cf. Die kirchliche Dogmatik (Studienausgabe 18), Die Lehre von der Schöpfung III/3 §§ 50–51, Zürich: Theologischer Verlag, 1992, pp. 465–466.
«Potest tamen dici esse aliquam ideam materiæ secundum quod materia aliquo modo divinam essentiam imitatur» (San Tommaso d’Aquino, De potentia, q. 3, a. 1 ad 13).
G. BIFFI, La bella, la bestia e il cavaliere, Jaca Book, Milano 1984, p. 52.
Die christliche Glaubenslehre, vol. I (1840), pp. 670ss.
R. BULTMANN, Nuovo Testamento e mitologia, Brescia, 1970, p. 110.
H. HAAG, La liquidazione del diavolo?, Brescia: Queriniana, 1970, p. 52.
Ibidem, p. 30.
Cf. per esempio: F. ABBRI, Immagini della natura e reincanto del mondo nella cultura nord–americana, in: ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA, La creazione e l’uomo, Padova: Messaggero, 1992, pp. 145–156.
W. PANNENBERG, Systematische Theologie, vol. 2, Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1991, p. 129.
G. TAVARD, Los ángeles (Historia de los Dogmas II, 2b), trad. sp. dal ted., Bibli-oteca de Autores Cristianos, Madrid 1973, p. 87; E. PETERSON, Il libro degli ange-li, trad. it. dal ted., Edizioni Liturgiche, Roma 1989.
È una espressione di Sergej Nikolaevic Bulgakov, a cui dobbiamo una delle più belle opere angelologiche del nostro tempo: L’Échelle de Jacob, L’Age d’Homme, Lausanne 1987.
H. HAAG, La liquidazione del diavolo?, Brescia: Queriniana, 1970, p. 52.
D. F. STRAUß, Die christliche Glaubenslehre, vol. I (1840), pp. 670ss.
K. BARTH, Die kirchliche Dogmatik, III/3, Zürich: Theologischer Verlag, 1950, p. 479ss.
K. RAHNER, Diavolo in: Sacramentum Mundi, trad. it., vol. III, Morcelliana, Bre-scia 1975, col. 68.
Cf. J. CARMIGNAC, Recherches sur le «Notre Père», Letouzey & Ané, Paris 1969, pp. 306–312.
Si vedano in particolare:
PAOLO VI, Discorso per l’udienza generale del 15 novembre 1972 «Liberaci dal male», Insegnamenti di Paolo VI, vol. X (1972), 1168–1173.
PAOLO VI, Omelia «Resistite fortes in fide», 29 giugno 1972, Insegnamenti di Pao-lo VI, vol. X (1972), 703–709.
SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Documento «Les formes multiples de la superstition» sul tema «Fede cristiana e demonologia», 26 giugno 1975, Enchiridion Vaticanum 5 (1974, 1976), 1347–1393.
PAOLO VI, Discorso per l’udienza generale del 23 febbraio 1977 «Vigilanza ed e-nergia morale per resistere alle tentazioni del mondo», Insegnamenti di Paolo VI, vol. XV (1977), 192–194.
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale del 13 agosto 1986: «La caduta degli angeli ribelli», La Traccia 7 (8, 1986), 822–824.
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale del 20 agosto 1986: «La vittoria di Cristo sul male», La Traccia 7 (8, 1986), 828–829.
GIOVANNI PAOLO II, Discorso per l’udienza generale del 25 novembre 1987, La Traccia 8 (11, 1987), 1291–1293.
Cf. P. M. QUAY, Angels and Demons: the Teaching of IV Lateran, in: Theologi-cal Studies 42 (1981), 20–45.
P. SACCHI, L’apocalittica giudaica e la sua storia, Paideia Editrice, Brescia 1990, pp. 296–297.
Nella seconda edizione del LThK Karl Rahner ammoniva opportunamente di distinguere ma non separare l’azione diretta dei demóni dalla lora azione indiret-ta, che si ricollega alla malattia, alla sofferenza e alla morte. Cf. KARL RAHNER, Besessenheit. IV. Theologische Aspekte, in: Lexikon für Theologie und Kirche II (1958), 298–300.
All’odio verso l’uomo come unico modo di dar sfogo all’odio verso Dio si som-ma anche un odio finalizzato alla natura umana in quanto tale, perché in qualche modo intimamente connessa alla vicenda della caduta degli angeli malvagi. Cf. P. CANTONI, Appunti per una teologia del «primo peccato», in: Sacra Doctrina 39 (1, 1994), 25–50.
Cf. I. HAUSHERR, S.J., Philautía. Dall’amore di sé alla carità, trad. it., Magnano (BI): Qiqajon, 1999 (1952).
J. C. LARCHET, Thérapeutique des maladies mentales. L’expérience de l’Orient chrétien des premiers siècles, Paris: Éditions du Cerf, 1992, p.65.
Rituale romanum, titulus XII, caput I, n. 3.
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1673.
Il can. 1172, che restringe la facoltà di compiere esorcismi ai presbiteri autoriz-zati, parla di «esorcismi sugli ossessi», dove il termine «ossesso» è qui sinonimo di «posseduto».
Mons. B. KLOPPENBURG, O.F.M., La théorie du pacte avec le diable dans la ma-gie évocatoire, in J. B. MARTIN – M. INTROVIGNE (a c. di), Le défi magique. II. Sata-nisme et sorcellerie, Lyon: Presses Universitaires, 1994, p. 241–257.
Cf. L. GARDETTE, Magie, in: Dictionnaire de Théologie Catholique 9 (1927), 1510–1550.
CONFERENZA EPISCOPALE TOSCANA, A proposito di magia e demonologia, nota pastorale, 1 giugno 1994, Firenze: Edizioni Cooperativa Firenze 2000, 1994. Esi-stono però altri documenti sulla demonologia dei Papi e della Santa Sede che abbiamo già richiamato. Sull’azione del demonio è fondamentale per autorevo-lezza: Concilio di Trento, Sessione V (17 giugno 1546): DS 1511. Qui infatti la Chiesa ha definito come dogma di fede che con il peccato originale l’uomo è ca-duto sotto il potere del diavolo. Cf. E. VON PETERSDORFF, La potestà del diavolo. Un domma del Concilio di Trento, Il Concilio di Trento 2 (4, 1943), 377–392.
Op. cit., p. 22.
L. CLIVE STAPLES, Le lettere di Berlicche (Oscar), trad. it., Milano: Mondadori, 1979, p. 3.
Sul punto si può vedere questa letteratura recente: B. P. LEVACK, La caccia alle streghe in Europa agli inizi dell’età moderna, Bari: Laterza, 1988; G. HENNINGSEN, L’ avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, Milano: Garzanti, 1990; G. ROMEO, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controri-forma, Firenze: Sansoni, 1990; R. DECKER, Die Hexen und ihre Henker. Ein Fall-bericht, Freiburg i. B.: Herder, 1994.
E. VON PETERSDORFF, Demonologia, Milano: Leonardo, 1995, pp. 164–175.
Cf. L. SCHEFFCZYK, Exorzismus. III. Systematisch–theologisch, in: Lexikon für Theologie und Kirche/3ª ed. 3 (1995), 1127: «Anche se la Chiesa presta atten-zione alle conoscenze delle moderne scienze umane, non può però riconoscerle come ultime istanze di giudizio. La decisione deve essere presa alla luce dell’insieme dei sintomi naturali–psicologici nell’ottica delle determinanti di carat-tere salvifico o malefico secondo le regole del discernimento degli spiriti».
Cf. A. COHEN, Il Talmud, trad. it. di Alfredo Toaff, Bari: Laterza, 1935 (reprint 1991), pp. 122–127 (le due inclinazioni).
Cf. ancora: Mc 1,32.34; 3,2.10–11; 6,13; 16,17–18; Lc 4,40; 6,18; 7,21; 8,2; 9,1; 13,32.
Passim.
J. C. LARCHET, Op. cit., p. 56.
Ibidem, nota 9.
«In generale una interpretazione demonologica del male nella vita della Chie-sa, in particolare nella sua interpretazione religiosa come possessione, dipende ultimamente sempre dal carisma del discerniumento degli spiriti» (H. J. LIMBURG, Besessenheit VIII. Praktisch–theologisch, in: Lexikon für Theologie und Kirche/3ª ed. 2 [1994], 317).
M. M. A. GHIOZZI, Psichiatria e epistemologia. La realtà culturale e quella teolo-gica, Pisa: Pacini, 2000, p. 121.
P. SCILLIGO, Molteplicità dei sé e possessioni, in E. FIZZOTTI (a c. di), La sfida di Be-elzebul. Complessità psichica o possessione diabolica?, Roma: LAS, 1995, p. 66.
De exorcismis et supplicationibus quibusdam, editio typica 1999, Prænotanda n. 16. Per un confronto riporto il breve testo del Rituale precedente: «In primis, ne facile credat, aliquem a dæmonio esse obsessum, sed nota habeat signa, quibus obsessus dignoscitur ab iis qui morbo aliquo, præsertim ex psychicis, laborant. Signa autem obsidentis dæmonis esse possunt: ignota lingua loqui pluribus ver-bis, vel loquentem intelligere; distantia et occulta patefacere; vires supra ætatis seu conditionis naturam ostendere; et id genus alia, quæ cum plurima concurrunt, majora sunt indicia» (Titulus XII, caput I, n. 3).
Cf. Ibidem e anche: M. GARUGLIERI – P. F. LORENZI – M. DI FIORINO, Personalità multipla: elementi storici e “credenze” nosografiche, in: Psichiatria e territorio 16 (1–2, 1999), 43–57.
Cf. M. INTROVIGNE, Indagine sul Satanismo. Satanisti e anti–satanisti dal seicen-to ai nostri giorni, Mondadori, Milano 1994, pp. 325–346.
«Sembra accertato che fatti di autentica xenoglossia possano aversi solo nei casi di possessione» (M. T. LA VECCHIA, Antropologia paranormale. Parte I: Fe-nomeni dell’occulto e della Parapsicologia (ad uso degli studenti), Roma: Pontifi-cia Università Gregoriana, 1989, p. 186).
La terminologia non è purtroppo ben fissata. Il Codice di Diritto Canonico parla di ossessi nel senso di posseduti, mentre la maggioranza degli autori distingue fra ossessione e possessione. Anch’io scelgo questa terminologia.
J. RATZINGER – V. MESSORI, Rapporto sulla fede, Cinisello Balsamo (MI): Paoli-ne, 1985, p. 145.
Ibidem.
«Per antica tradizione le formule di benedizione hanno soprattutto lo scopo di rendere gloria a Dio per i suoi doni, chiedere i suoi favori e sconfiggere il potere del maligno nel mondo» (Benedizionale, Premesse generali, 11).
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera «Inde ab aliquot annis» del 29 settembre 1985, Enchiridion Vaticanum 9 (1985), 1667.

Fonte - Mediatrice.net

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