martedì 11 settembre 2007

La psicologia sociale dei gruppi religiosi

Raffaella Di Marzio (Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, Roma), CESNUR.


A paper presented at the 2005 CESNUR Conference in Palermo, Sicily. Preliminary version – do not reproduce or quote without the consent of the author.

Questa relazione presenta alcune problematiche connesse con il fenomeno della affiliazione e permanenza nei movimenti religiosi e si propone di delineare le caratteristiche sociali, la struttura e il funzionamento dei gruppi religiosi dal punto di vista della Psicologia della Religione.

Caratteristiche del gruppo carismatico

Gli individui non nascono religiosi, ma lo diventano: per questo la religione è un fenomeno sociale. Per comprendere come gli individui diventano religiosi è necessario studiare le caratteristiche dei gruppi nei quali socializzano, si convertono o dai quali si distaccano[1].

a) Premessa

I fondamenti teorici della ricerca sul funzionamento dei gruppi umani vengono posti da Kurt Lewin (1890 -1947) nel 1930 con la sua Teoria del campo e, negli anni 1960, si assiste a una vera e propria inflazione di ricerche sperimentali in questo settore.

Il gruppo sociale è definito come un insieme di due o più persone fra loro interagenti. È un sistema aperto che influenza il suo ambiente e ne è a sua volta influenzato. L’ambiente sociale, infatti, può indurre dei cambiamenti nel gruppo come quest’ultimo può provocare reazioni sociali che non si sarebbero mai verificate se il gruppo non fosse esistito. Nel rapporto tra gruppo e ambiente vanno considerate anche altre variabili tra loro interdipendenti, come le motivazioni, le caratteristiche di personalità dei membri, il grado di coesione del gruppo e l’obiettivo che si propone di raggiungere.

Lo studio dei gruppi umani presenta alcune difficoltà. Una delle più evidenti risiede nel fatto che qualsiasi osservazione da parte dello studioso provoca inevitabilmente un cambiamento nell’oggetto che sta studiando. Un altro problema sta nella selezione delle fonti da cui trarre le informazioni. Generalmente uno studio attendibile su un gruppo sociale dovrebbe tener conto del maggior numero possibile di fonti.

b) Il gruppo carismatico

I gruppi religiosi si comportano come tutti gli altri gruppi: funzionano in base alla loro struttura, definita dai ruoli di ciascun membro e dal suo status, dal modo in cui i vari membri interagiscono e comunicano tra loro e dalle norme condivise.

Marc Galanter definisce il gruppo carismatico come “una comunità strettamente interrelata” che descrive in base a quattro caratteristiche:

- Un sistema di fede fortemente condiviso

Riferendosi al concetto di conformismo Galanter afferma che esso, nei gruppi carismatici, si fonda su una solida base conoscitiva: un sistema di fede comune che può essere più o meno codificato. A questo sistema di credenze i nuovi adepti vengono introdotti soltanto dopo essere entrati nel gruppo e, una volta che si sono identificati con esso, ne accettano le regole di fede che vengono loro spiegate (secondo la versione che la leadership ritiene più utile).

- Un alto livello di coesione sociale

I membri tendono a preoccuparsi molto del benessere reciproco e si impegnano a fondo in attività comuni. Per i fedeli partecipare a queste attività è sinonimo di benessere; tale partecipazione diventa un bisogno di tipo sociale all’interno del quale grande rilevanza hanno i riti di gruppo. I riti possono avere anche una valenza terapeutica e, infatti, si sono verificati casi in cui la permanenza nel gruppo ha consentito a membri con determinate caratteristiche di personalità di superare e “guarire” da nevrosi di varia entità. Il distacco di queste persone dal gruppo ha invece causato un peggioramento delle loro condizioni.

- Influenza delle norme di comportamento del gruppo sui singoli

Le norme di comportamento di un gruppo carismatico giocano un ruolo non comune nel determinare la condotta dei membri e nel modificare il loro stile di vita. Anche quando si trovano in situazioni nuove i fedeli agiscono in base alle norme di gruppo a tal punto che i cambiamenti del comportamento possono essere molto accentuati come, per esempio, il verificarsi di esperienze trascendentali, spesso allucinatorie.

- Ruolo trascendente (o divino) attribuito al gruppo o al leader

Nei gruppi religiosi i poteri carismatici sono attribuiti al leader, ma anche al gruppo o alla sua missione.

c) La Leadership

Riguardo a questo aspetto sono molte le ricerche finalizzate a identificare e distinguere i diversi tipi di leadership presenti nei gruppi umani. In questo contesto scegliamo di prendere in considerazione in modo particolare tre forme di leadership: il potere remunerativo, coercitivo e di riferimento (o di identificazione).

Il potere remunerativo è quello fondato sull’uso di premi e punizioni. In tutte le religioni sono stabiliti premi e punizioni per i fedeli; alcune volte, però, quando non è più Dio o un Essere assoluto e trascendente che giudica le azioni umane e il compito di premiare e punire viene, di fatto, attribuito a un singolo individuo o a un gruppo di persone, può avvenire che questo potere, da remunerativo, si trasformi in potere coercitivo.

Gli studi sugli effetti negativi del potere coercitivo attestano che la coercizione fa leva sulla paura e quest’ultima può perdurare nel tempo anche quando l’individuo ha lasciato il gruppo. Un elevato livello di paura nei riguardi del leader, inoltre, rende la persona meno capace di affrontare e risolvere i suoi problemi, contribuendo a generare varie forme di disadattamento. Pio Scilligo afferma che “il gruppo ben manipolato è tra i tiranni più crudeli ed esigenti[2].

In altri casi il leader carismatico esercita il suo potere provocando nel membro affiliato un’identificazione con lui. La persona coinvolta nel gruppo religioso, in questo caso, obbedisce al leader non perché lo teme, ma perché si sente "come" lui, si sente "una cosa sola" con lui, si comporta, crede e pensa come lui. È evidente che un leader-dio non è soggetto ad alcuna critica e può risolvere qualsiasi problema appellandosi all’imperscrutabilità dei disegni divini.

Il potere di un leader carismatico sui suoi seguaci può degenerare, in casi eccezionali, in comportamenti violenti o di istigazione alla violenza. Nella maggioranza dei gruppi religiosi alternativi, così come nelle religioni maggioritarie, il potere spirituale esercitato dall’autorità riconosciuta non presenta alcuna caratteristica coercitiva e gli individui vengono lasciati pienamente liberi di accettare o rifiutare le prescrizioni morali della religione a cui aderiscono. Questo vale anche nei casi in cui il leader pensa e insegna di essere dio; ci sono molti gruppi di questo genere e solo alcuni degenerano verso forme coercitive e violente.

Il funzionamento del gruppo carismatico

Galanter propone una lettura psico-sociale del funzionamento dei gruppi carismatici, una proposta che si rifà alla teoria dei sistemi.

Secondo questo autore un gruppo religioso è pensabile come un sistema integrato, caratterizzato da:

- Trasformazione: paragona il gruppo religioso a una “fabbrica”, il cui prodotto finale è l’adepto e la cui materia prima è il potenziale adepto. La trasformazione si verifica grazie al proselitismo che provoca la conversione, intesa come disgregazione dell’identità e della stabilità psicologica precedente.

- Controllo: la funzione di controllo consiste nel verificare che tutte le attività all’interno del sistema siano correttamente eseguite e coordinate tra loro. Il controllo sugli adepti si ottiene facilmente grazie al meccanismo di identificazione della recluta col gruppo e all’attenta repressione dell’autonomia. Molto importante per il sistema sociale è, inoltre, la capacità di reprimere la deviazione dei membri.

- Retroazione: la retroazione è "un modo con cui il sistema ottiene informazioni su come esegue il suo compito primario. Una parte della produzione viene reimmessa nel sistema e questo fornisce informazioni per progettare l’attività futura". Questo vuol dire che, se dall’esterno arrivano retroazioni negative, il gruppo cercherà di isolare i seguaci affinché le informazioni non arrivino fino a loro. A questo proposito il successo delle tecniche di proselitismo nel fare nuovi adepti incoraggia i membri del gruppo a perseverare nel portare avanti la loro missione.

- Controllo di confine: tutte e tre le funzioni fin qui descritte potrebbero essere ostacolate o danneggiate da intrusioni dall’esterno. Il controllo di confine protegge tutti i sistemi sociali, e quindi anche i gruppi carismatici, da estranei pericolosi, evita rischi di questo genere filtrando tutte le informazioni e controllando le persone potenzialmente “pericolose”. Questa ultima funzione può produrre negli adepti una vera e propria paura degli estranei (xenofobia) che può diventare paranoica[3]. Il controllo di confine è peraltro rafforzato dalle reazioni della società circostante ed è certo che i membri di un gruppo carismatico reagiscono diversamente di fronte agli estranei a seconda che questi ultimi siano più o meno minacciosi per la sicurezza del gruppo.

Affiliazione e permanenza

Indicheremo ora alcune prospettive dalle quali è possibile dare una interpretazione del fenomeno dell’affiliazione e della permanenza nei gruppi religiosi. Questa disamina non è esaustiva e quindi non esaurisce l’intero panorama delle teorie.[4]

1) Una prima prospettiva tende a vedere chi aderisce ai gruppi carismatici come vittima di induzione, di manipolazione, di persuasione coercitiva, con una più o meno accentuata psichiatrizzazione del problema. Questa è la posizione propria di psicologi clinici e psichiatri. (Clark, Langone, Schacter, Singer, Shapiro). Ad essa si contrappongono le asserzioni dei ricercatori che non hanno trovato prova del fatto che i culti usino tecniche che alterino i normali processi psicologici. L’estremizzazione di queste posizioni ha portato alla conseguenza che gran parte delle ricerche sui culti ha assunto una connotazione politicizzata, con relativo dibattito sulle presunte motivazioni retrostanti allo studio su questi movimenti (Barker, Robbins, ecc).

Se il lavaggio del cervello nella sua estremizzazione concettuale non ha riscontri scientifici, tuttavia i principali fondamenti dei processi chiamati in causa nella persuasione coercitiva possono essere facilmente individuati. Essi funzionano in virtù di metodi ben stabiliti dalle scienza sociali, ma vengono usati da diversi gruppi sociali e non caratterizzano in senso differenziale i culti. Le principali componenti chiamate in causa nella persuasione coercitiva sono desunte da quei tentativi seri di ricostruire i processi a partire da relazioni storiche e personali:

a) Controllo e isolamento totali: gli individui o i piccoli gruppi sono isolati e sotto il controllo delle autorità

b) Debilitazione e prostrazione fisica (interrogatori, privazione di cibo e sonno, tortura fisica e affamamento)

c) Confusione e incertezza (i sistemi di riferimento personali sono messi a dura prova, l’incertezza è sul destino personale e anche sulle proprie credenze)

d) Senso di colpa e umiliazione (attraverso l’uso di varie tecniche il potenziale convertito viene indotto a sentirsi spregevole se persiste nelle sue attuali convinzioni)

e) Liberazione e soluzione dei propri problemi (solo la collaborazione o la piena conversione possono mettere fine all’isolamento, al dolore, al senso di colpa e alla confusione indotta dai persuasori).

E’ importante precisare che queste tecniche non rispondono a un modello “tutto o niente”, ma si può parlare di vari livelli o gradi di persuasione coercitiva, dai gradi estremi, come quelli vissuti dai prigionieri in tempo di guerra, fino al caso più lieve di un bambino mandato contro la sua volontà presso un campo estivo religioso. In ogni caso è da sottolineare che il grado di collaborazione che si ottiene dal potenziale convertito è proporzionale al controllo esercitato sulla persona, mentre la vera conversione o interiorizzazione delle credenze sono difficilmente misurabili empiricamente. Certo è che, se si usano tecniche di persuasione coercitiva, è molto più facile ottenere collaborazione momentanea che autentica conversione.

2) Una seconda prospettiva vede nell’affiliazione un modo di ricercare risposte gratificanti, spesso non disponibili presso le Chiese tradizionali, ai propri bisogni: di identità, di ruolo, di appartenenza, di relazione, di significato, di certezze, di guida, di soprannaturale. Tra queste interpretazioni, ci sono quelle legate alla Teoria dei Ruoli (Role Theory) che spiega il comportamento individuale attraverso un’analisi delle condizioni sociali. Secondo alcuni autori l’esperienza di adesione al gruppo religioso è un momento di crescita e di continuità nell’identità personale (e non già di rottura, come viene intesa da Galanter e altri) attraverso la conversione o anche conversioni plurime e successive (Bromley, 1988).

3) Una terza prospettiva cerca di cogliere la vitalità psicologica dell’esperienza vissuta all’interno del gruppo religioso e il suo potenziale trasformativo per la personalità. Questo modello si rifà all’ambito della psicoanalisi relazionale e ai cosiddetti fenomeni transizionali, la cui teoria è stata elaborata da Winnicott. Esso può fornire una valutazione psicologica, lungo la linea della crescita dell’autonomia e della maturazione della persona, sulle specifiche ed individuali modalità di conversione, adesione e coesione ai gruppi religiosi di ciascun soggetto, in funzione della sua storia relazionale. “Allo stesso tempo può individuare modalità perverse di strutturazione ed evoluzione della medesima esperienza. Quando, ad esempio, l’appartenza diventa gregarismo e dipendenza; la fiducia nel leader degenera in ipocritica; la creatività personale, la fantasia e il gioco sono mortificate in stereotipia e ripetitività; il simbolismo decade in feticismo, il rito in rituale esoterico per iniziati; la solidarietà e coesione interna si cristallizzano in chiusura e distacco dall’esterno, paura del mondo ed impossibilità a crescere”. In questa prospettiva “…le religioni che, anziché costituire dei ‘legami liberanti’… tendono a fagocitare il soggetto, a non lasciarlo andare nella direzione della ricerca, della creatività, dell’autorealizzazione, che facciano uso o meno di tecniche orientate ad una persuasione coercitiva, sono comunque patogenetiche[5].

4) Una quarta prospettiva per comprendere il processo di affiliazione aggiunge ai tre elementi (persona, gruppo e società) anche le credenze e le pratiche che vengono proposte al convertito o da lui abbandonate e propone un modello di tipo interdisciplinare, secondo il quale nel fenomeno della conversione gioca un ruolo molto importante anche il diffuso relativismo, che crea un clima che predispone le persone a cambiare religione. Le diverse reazioni e le diverse scelte dipendono sia dai bisogni spirituali della persona sia da ciò che il mercato religioso offre ai potenziali adepti, cioè dalle dottrine e prassi dei diversi movimenti.

Conclusione

Come identificare il modello più aderente alla realtà tra quelli individuati?

Dal punto di vista scientifico credo si possa dire che i modelli più validi sono quelli più saldamente fondati su ricerche empiriche, che, comunque, sono ancora insufficienti.

Da un punto di vista personale, e quindi necessariamente parziale, di chi cioè ha affrontato lo studio dei gruppi carismatici per fornire assistenza a persone in difficoltà, credo di poter dire che tutti i modelli individuati presentano elementi di validità scientifica. Si tratta però di una validità relativa al punto di vista di chi propone la teoria: è vero che la conversione viene talora ottenuta grazie all’uso di metodi di persuasone coercitiva che violano la libertà individuale ma è altrettanto vero che, in altri casi, la conversione non è altro che il risultato di una libera scelta. Certamente fondata è anche la posizione di chi vede l’esperienza religiosa come strettamente legata alla storia relazionale del convertito e di chi individua nelle dottrine dei gruppi un ulteriore elemento che influisce sull’affiliazione.

L’errore sta nell’assolutizzare un modello a scapito di tutti gli altri. L’abilità dello studioso e di chi è chiamato a dare assistenza in questo settore sta nell’identificare la chiave interpretativa più adatta a ciascun caso, contesto o persona, senza farsi influenzare da precomprensioni che, proprio perché tali, sono prive non solo di scientificità, ma anche di qualsiasi aderenza alla realtà dei fatti.

In questa prospettiva credo che la strada giusta da seguire sia quella della collaborazione tra persone che tendono a prediligere posizioni diverse, poiché il processo in questione, per la complessità e delicatezza che lo contraddistingue, richiede lo scambio e l’ integrazione tra conoscenze, esperienze e metodologie diverse.

BIBLIOGRAFIA

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B. Zablocki, "The Blacklisting of a Concept. The Strange History of the Brainwashing Conjecture in the Sociology of Religion", in Nova Religio: The Journal of Alternative and Emergent Religions, vol. 1, n. 1 (ottobre 1997), pp. 96-121

D. G. Bromley, "Listing (in Black and White) Some Observations on (Sociological) Thought Reform", in Nova Religio: The Journal of Alternative and Emergent Religions, vol. 1, n. 2, aprile 1998, pp. 250-266.

D. G. Bromley, (1988). Religious disaffiliation: a neglected social process. In D. G. Bromley (Ed.), Falling from the faith. Causes and consequences of religious apostasy (pp. 9-25). Newbury Park, CA: Sage.

D. W. Winnicott, L’apprendimento dei bambini. In Dal luogo delle origini, Raffaello Cortina Editore, Milano 1990

D. W. Winnicott, La capacità di essere solo. In Sviluppo affettivo ed ambiente. Studi sulla teoria dello sviluppo affettivo, Armando, Roma 1974

K. Lewin, Principi di psicologia topologica, Ed. Organizzazioni Speciali, Firenze 1961

K. Lewin, Teoria dinamica della personalità, Giunti, Firenze 1965

M. Aletti e G. Rossi (a cura di), Ricerca di sé e trascendenza, Centro Scientifico Editore, Torino 1999

M. Di Fiorino, La persuasione socialmente accettata, il plagio e il lavaggio del cervello vol. 1, Psichiatria e Territorio, Forte dei Marmi 1990

M. Galanter, Culti, Sugarco Edizioni, Varese 1993

M. Introvigne, Il lavaggio del cervello: realtà o mito?, Elledici, Leumann (Torino) 2002

M. Introvigne, Il Sacro Postmoderno, Gribaudi, Milano 1996

M. Introvigne, I Testimoni di Geova. Già e non ancora, Elledici, Leumann (Torino) 2002

P. Scilligo, Dinamica di gruppo, SEI, Torino 1973

R. W. Hood, Jr. B. Spilka, B. Hunsberger, R. Gorsuch, Psicologia della religione. Prospettive empiriche e psicosociali [The Psychology of Religion:An Empirical Approach, The Guilford Press 1996], Centro Scientifico Editore, Torino 2001


[1] Per l’approfondimento di questi temi si rimanda al sesto Modulo del Corso Online di Corsi Web Il Fenomeno Religioso in Italia.

[2] Pio Scilligo, Dinamica di gruppo, SEI, Torino, 1973, p. 256.

[3] Se il processo di isolamento degli adepti dal mondo esterno persiste nel tempo potrebbero verificarsi anche esiti tragici come quelli tristemente famosi del Tempio del Popolo e della setta ugandese “Movimento per la Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio”. Entrambi questi gruppi, infatti, erano completamente isolati dal resto della società, anche in senso fisico

[4] Cfr. Tra brainwashing e libera scelta.Per una lettura psicologica dell’affiliazione ai Nuovi Movimenti Religiosi, di Mario Aletti e Claudia Alberico (http://www.cesnur.org/testi/aletti.htm).

[5] Cfr.Tra brainwashing e libera scelta. Per una lettura psicologica dell’affiliazione ai Nuovi Movimenti Religiosi, di Mario Aletti e Claudia Alberico (http://www.cesnur.org/testi/aletti.htm).

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